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venerdì 8 febbraio 2008

VHO, UN PAESE SBAGLIATO

Semplice e indimenticabile: l'esperienza didattica di Mario Lodi
IL PAESE SBAGLIATO di Mario Lodi è il diario di un’esperienza didattica – come recita il sottotitolo – di un intero ciclo scolastico avvenuto tra il 1964 e il 1969, nella scuola elementare di Vho di Piadena (CR), cattedra cui era stato assegnato, in quel periodo, l’autore.
Il libro, edito più volte dopo la prima pubblicazione (l’ultima è del 2007), per la fondamentale traccia impressa nel campo scolastico - pedagogico, si apre con una lettera aperta ai giovani maestri, vincitori di concorso, che si avviano alla professione di insegnanti, per redarguirli e incoraggiarli ad affrontare, con coraggio e spirito innovativo, il compito che li aspetta e le responsabilità educative ad esso connesse.
L’opera, per l’autore "rappresentava la conclusione di un percorso iniziato nei primi anni del dopoguerra…dopo la caduta del fascismo e la fine del conflitto", quando "il problema di fondo era la ricostruzione materiale e morale dell’Italia sui nuovi valori espressi dalla Liberazione", (ibidem). Era il 1948, l’anno della promulgazione della Costituzione. Il giovane e inesperto maestro Mario Lodi, fu incaricato di insegnare in una scuola erede dell’autoritarismo fascista, ma entro cui fervevano i cuori e le menti dei giovani insegnanti, pregni di alti valori come la libertà e la democrazia, se non della intenzionale collaborazione cercata per tracciare le basi di una futura, migliore società all’origine di una scuola nuova.
Era quello un periodo comune a tutti i giovani docenti armati di tanta buona volontà e di valori nuovi da applicare alla scuola, pur di strapparla all’ancora imperante aria fascista. "La libertà di pensiero e di parola, la democrazia, la partecipazione alla cosa pubblica non erano cose da imparare leggendole sui libri, ma momenti da vivere dentro la scuola, ancora rigidamente trasmissiva. Ma come si potevano cambiare le cose?" (pp. XI-X). A questa esigenza e a questa domanda Mario Lodi e gli allora giovani insegnanti di ogni ordine e grado diedero vita ad un movimento pedagogico spontaneo, verso gli inizi degli anni 50 dello scorso secolo, che si proponeva di introdurre, nella scuola italiana dell’epoca, "l’idea del bambino protagonista che sviluppa le sue capacità, le mette a disposizione della classe-comunità, stampa un giornale su cui racconta la vita sua e dei compagni, continua il gioco prescolare dell’esplorazione occasionale nella ricerca organizzata, rappresenta il mondo che sta scoprendo: col disegno, il teatro, la musica ecc.", (p. X). Tutte tecniche create dal pedagogista francese Celestine Freinet, a quel tempo non ancora molto conosciuto in Italia.
Era principio fondamentale di questo movimento, chiamatosi poi Movimento di Cooperazione Educativa, adeguare l’insegnamento della scuola pubblica ai principi della recentissima Costituzione repubblicana. Infatti, incominciò in quel periodo la sperimentazione di esperienze, incontri, dibattiti e seminari, i quali, annualmente, venivano tradotti in una sintesi pedagogica nel convegno nazionale. Venne, pertanto, introdotta in Italia una scuola critica, appunto, basata sulle tecniche di Freinet, alternative a quelle precedenti e consolidate nell’autoritarismo fascista: il testo libero, il calcolo
vivente, le attività espressive (pittura, teatro, danza), la ricerca sul campo, la corrispondenza interscolastica con la scolaresca di un paese vicino, la stampa a scuola, la scrittura individuale di storia "con un’impostazione che, insieme a quelle dei bambini, liberava e formava la cultura del maestro", (fonte: mariolodi.it).
E Mario Lodi, grazie ai principi freinetiani, realizzò egregiamente una scuola tutta sua, ne è testimonianza IL PAESE SBAGLIATO, che ottenne il Premio Viareggio nel 1971, a un anno dalla prima pubblicazione, e tutta la sua opera in generale.

Dopo l’introduttiva lettera ai giovani maestri, IL PAESE SBAGLIATO prosegue con una lettera datata 2 ottobre 1964, scritta alle ore 23 e indirizzata, da Vho, ad una ragazzina di nome Katia, probabilmente sua ex alunna, licenziatasi appena dalle medie, la quale aveva deciso di emulare il maestro di un tempo, iscrivendosi, appunto, all’Istituto magistrale per accedere all’insegnamento nelle scuole elementari. La lettera, di fatti, inizia così: "Cara Katia, questa estate, il giorno che in pineta, alla fine di una gita, che era stata tutta una discussione, decidesti di iscriverti all’Istituto magistrale per diventare maestra, io ti feci la promessa di mandarti la documentazione del lavoro nella mia classe, in modo che tu potessi affiancare allo studio teorico sui libri, lo studio dei bambini come sono a scuola. E siccome ogni promessa è debito, eccomi puntualmente a dirti come sono andate le cose in questi primi due giorni…" (p. 15).
Chi sia questa Katia non lo so ancora. Ho rivolto la domanda a Lodi, mediante email, ma, tuttora non ho ancora ricevuto risposta.
Nella lettera al personaggio Katia vengono elencate le prime informazioni necessarie al proseguimento della lettura del libro.
La classe, le spiega il maestro, è una prima formata da nove bambini, tre maschi e sei femmine, al principio dell’anno, scolaresca però destinata ad accrescersi nel corso dell’intero ciclo, perfino con l’arrivo di una quindicenne pluriripetente in quinta.
Allora la scuola si apriva il primo ottobre e i bambini di prima venivano definiti remigini, perché quel giorno fatidico corrispondeva alla ricorrenza di S. Remigio, e a quei piccoli nove remigini il maestro aspettava di aggiungere altri tre ed altri ancora per S. Martino, data in cui si rinnovavano i contratti agrari e, di conseguenza, anche le assunzioni contadine, per questo fino all’11 novembre gli elenchi degli alunni iscritti restavano provvisori, proprio per far posto all’inserimento di eventuali immigranti, se non addirittura la cancellazione dei trasferiti. Se questo era possibile la causa era originata dal fatto che a Vho di Piadena c’era sempre un viavai che permetteva il ricambio degli insediamenti contadini, che lasciavano i cascinali e i piccoli centri per sistemarsi nella frazione, dove gli affitti restavano più bassi. Il ricambio colmava, almeno in parte, il vuoto creatosi con l’esodo dei contadini indigeni. Questo argomento sarà poi approfondito, anni dopo, in quinta, con lo studio sulla cascina e sulla vita che ivi si conduceva. E a Vho c’era un’unica grande cascina, "la cascina Falchetto, detta el calderon (il pentolone)". (p. 351).
La metafora del pentolone, come grande contenitore, era dovuta al fatto che dava lavoro a molti individui, essendo davvero di dimensioni gigantesche, e dalla tipica forma squadrata delle cascine padane "arroccata come un castello sulla riva scoscesa dell’antica vallata del fiume…domina la verde distesa dei prati bassi divenuti terre della cascina", (ibidem).
Dopo una presentazione simile fornitaci da Mario Lodi, possiamo immaginarci un maestoso e imponente edificio che domina la vista del paese e incute timore reverenziale per l’immagine di potere e ricchezza che questo trasmette.
Dentro al Calderone si sono avvicendate generazioni intere, assimilando, a rallentatore, una sfalsata civiltà in evoluzione. E’ la casa di molti degli alunni di Lodi, i quali, dopo l’uscita di scuola sparivano, inghiottiti dai vasti cortili contenuti in essa.
Dal pretesto della ricerca sulla grande cascina, la scolaresca attuò un vero e proprio lavoro lungo e articolato, "le cui linee metodologiche risalgono alla prima classe " (p. 350, nota 1), quando dovevano ancora liberarsi le capacità osservative, creative e logiche, le quali portarono alla produzione di molti testi legati all’ambiente, lungo l’arco dei cinque anni di scuola, in cui il mondo della cascina è prevalente, coinvolgendo tutte le materie scolastiche, fino a trovare la loro piena realizzazione nel giornalino scolastico, utilissimo strumento per comunicare, sul quale furono pubblicati e diramati i lavori svolti in team, ma furono perfino mandati come corrispondenza ad un’altra scolaresca di Piadena.
Proprio durante questa ricerca sul campo, i ragazzi di quinta si resero conto, in prima persona, di quante disparità regnano al mondo tra chi ha di più e chi meno, se non addirittura niente. E’ evidente nel paragrafo Il Prossimo, quando una delle bambine della scolaresca, Donatella, lancia una bomba introducendo, nella discussione che si sta svolgendo sul prossimo più bisognoso, una più precisa realtà: "Io non aiuterei solo con i soldi gli affamati del Biafra, ma darei a ciascuno una famiglia. Qui in Italia c’è però molto egoismo. Si fa l’elemosina ma non si aiuta il povero a vivere", (p. 376). Nacque da lì, testimoniata dal maestro, una discussione veramente interessante tra i bambini, che esposero ognuno il proprio punto di vista. Finché non rispose Donatella per dire ancora: "C’è ingiustizia in Italia. Ci sono i ricchi e i poveri. Quelli che hanno un buon lavoro, come un maestro, quando vanno in pensione, hanno cifre alte, un contadino che ha lavorato tutta la vita prende soltanto 12.000 £, che ora sono salite a 18.000. Se aumentano le pensioni di x lire a tutti siamo ancora al punto di prima perché la differenza è ancora quella. Chi fa più fatica prende meno. Dovrebbero aumentare le paghe e le pensioni più basse". (p. 377).
Da entrambi gli stralci mi sembra di capire che i bambini erano pienamente consapevoli della realtà in cui erano immersi, la disparità di trattamento delle categorie lavorative, tra contadini e insegnanti e tra ricchi e poveri, in generale; ed è curioso, oltre a destar stupore, l’affermazione innocente di una bambina di dieci - undici anni, che commenta amaramente una realtà non facile come quella riferita ai contadini che lavorano (e si stancano di più), i quali, alla fin fine, guadagnano molto meno, in stipendio e pensione, di tanti altri.
Al commento di Donatella, Fiorella aggiungerà perspicacemente, di rimando: "Le leggi le fanno i più ricchi e perciò aumentano a tutti, così aumentano anche a loro e la differenza resta uguale", (ibidem).
E’ commentabile un tale pensiero? No, non mi sembra. Non ci sono parole per spiegarlo. E’ tutto molto chiaro, credo. Vengono perfino scomodati Cristo, Lenin e Gandhi ecc. per cercare le origini di queste disparità a p. 378, fino all’epilogo delle parole che pronuncia Tiberio, in conclusione, affermando: "E i soldi della lotteria dove li prendono? Dai poveri. Li sfruttano anche lì. Il paese sbagliato". Ed ecco da dove Lodi ha tratto il titolo per questo resoconto didattico, anche se aveva già inserito, nel periodo corrispondente alla classe terza, la dicitura, ad opera dei bambini stessi (pp. 170-182).

A questo punto mi sembra doveroso riprendere dall’introduzione ciò che Lodi
sottolinea sulla differenza tra la scuola di una volta e quella attuale.
Nello stralcio riportato più giù, nei punti salienti, l’autore tiene a far capire che "la cultura del docente, a differenza di quella del bambino, è disciplinare" (p. XIII), perché, in effetti, la realtà viene guardata da angolazioni diverse: dal punto di vista scientifico, storico, matematico, geografico, artistico ecc. E a ragione, Lodi lamenta che" se il docente costruisce il suo programma sulle materie da trasmettere, come accadeva nella vecchia scuola, l’apprendimento viene dissociato dal gioco-interesse e il bambino non è più protagonista ma ripetitore di nozioni. La scuola tradizionale, superata dai nuovi programmi era così: la ricca esperienza del bambino accumulata nel tempo prescolare, non aveva diritto di entrare nella scuola. Il bambino doveva solo ascoltare le lezioni del maestro, studiare sul libro di testo e ripetere. Oggi le cose non stanno più così, però è accaduto che nell’organizzazione modulare della scuola, che prevede per ogni classe più docenti, invece d impostare la progettazione collegiale avendo come soggetto dinamico i bambini, i docenti hanno realizzato per ogni materia (o area) il loro programma introducendo la trasmissione delle nozioni. Occupati nello svolgimento dei programmi, hanno abbandonato le attività espressive e creative: - Non abbiamo tempo per fare queste cose -, dicono. Sono andati fuorilegge. Sono andati contro i bambini" (p. XIII).
Questa clamorosa lamentela evidenziata da Lodi, mette l’intera classe insegnante con le spalle al muro, soprattutto dopo l’approvazione e l’attivazione dei Programmi dell’85, che avevano accolto i principi e i valori proclamati dal Movimento di Cooperazione Educativa di cui faceva parte Mario Lodi.
Se il bambino scopre come primo linguaggio la parola " ascoltando il suono delle parole collegate con i gesti agli oggetti ", allo stesso modo apprenderà le regole fino alla piena consapevolezza della finzione intenzionale come quella del " teatro, del gioco, dell’essere altro da sé" (ibidem). Per non parlare dell’area grafico-musicale. Come non ricordare, a questo proposito, lo straordinario talento musicale, del tutto spontaneo, di una delle bambine presenti in quel ciclo scolastico sin dalla prima classe, Lorena, che quando la primavera era in arrivo, esprimeva sé stessa cantando e componendo musica e parole contemporaneamente: perfino di fronte al dolore, la sua concezione della musica risultava talmente radicata e legata alle emozioni, che non si rese mai conto, neppure in quinta, di possedere uno dei doni più rari e preziosi. "Davanti al pennello (un dipinto dell’intera classe) un giorno Lorena si ferma a lungo, come assorta.
- C’è qualcosa che non va? – le chiedo. Ma lei non risponde, continua a fissare il quadro.
- Ti piace? – le dico.
Mi guarda col suo viso sereno e mi dice: - A guardare quel quadro mi viene voglia di cantare -.
Una risposta simile non me l’aspettavo.
- Canta, - le dico. E lei canta davvero, inventando parole e musica all’istante. I bambini smettono il lavoro e ascoltano meravigliati quella voce chiara e robusta che esprime col canto libero il suo pensiero: La luna è rotonda / e cammina con me./ La la la la..."
Addirittura, narra ancora Lodi: " Più avanti Lorena inventerà la musica. Un giorno mentre cantava Io ho visto il fuoco, notammo che accompagnava la voce col gesto della mano, la quale descriveva la scena…" (nota 1, p. 88), che immaginava di vedere mentre cantava e componeva allo stesso tempo. Se c’era il fuoco faceva ondeggiare la manina dapprima bassa fino ad alzarla, come se prendesse il volo, analogamente a ciò che fanno le fiamme quando si innalzano fino a diventare fumo.
Ma la cosa ancor più sorprendente del talento musicale di questa straordinaria bambina, che Mario Lodi ebbe l’avveduta accortezza di lasciarlo esprimere nella sua totalità, fu che Lorena, da sola, si spinse perfino a scrivere alla lavagna "le prime battute del canto disponendole più o meno alte a seconda dell’altezza della voce" (nota 1, pp. 88-89), sentendo perfino l’esigenza, di fronte a quella spontanea disposizione dei versi del suo stesso canto, di inserire una riga " per mettere a posto le parole su e quelle giù. Quelle alte le metterei sopra la riga, quelle basse invece sotto la riga" (p. 89, nota 1).
E’, questo, un incredibile esempio della massima libertà di espressione che Mario Lodi concedeva alla sua scolaresca, così come facevano gli adepti del Movimento di Cooperazione Educativa. Se ci fosse stato un altro insegnante al suo posto, avrebbe sicuramente troncato sul nascere una tale manifestazione di talento puro.

Anche il giornalino di classe, che veniva venduto e trasportato fuori dal paese, mediante treno e nave, è l’ennesimo esempio dell’invidiabile esperienza didattica di Lodi.
Il giornalino, come detto in precedenza, coinvolgeva tutte le discipline, analogamente all’indagine sulla cascina Falchetto, quando erano state calcolate entrate e uscite, guardando alla vita che ivi si conduceva ecc. Questa idea del giornalino di classe come mezzo di divulgazione per esprimersi e farsi sentire – il quale è divenuto un’attività pienamente inserita nel contesto scolastico attuale -, aveva un interlocutore nella scolaresca di Bruno Ciari, maestro a Certaldo (FI). "Ogni bambino ha in quella un suo corrispondente al quale scrive letterine e dal quale riceve regolarmente" (p. 61). Era questo un simpatico modo di coinvolgere tutti, ma proprio tutti, i bambini della classe, perfino i più timidi e riottosi.
Le prime letterine parlate furono guidate dall’insegnante e registrate con un magnetofono, permettendo la messa in primo piano della lingua parlata, tenuta da sempre in soggezione da quella scritta che ha dominato, edificato e imposto leggi sulla lingua orale.
Dopo questo avvio fu facile a Lodi, continuare per quella strada, pur venendo avversato dalle correnti politiche alternatesi nelle varie amministrazioni comunali del paese.
A discapito di questo però il metodo di Lodi, e quella classe, fu perfino indicato come esempio da seguire, perché un bel giorno, all’inizio del quarto anno, nel 1967, si vide piombare in mezzo a banchi e bambini, in un’aula piccola, stretta e scura, una vera e propria troupe televisiva guidata dal regista Riccardo Fellini, fratello del più famoso Federico.
Non si seppe mai il motivo per cui era stata scelta proprio la classe di Lodi dalla TV, né il provveditore lo aveva comunicato all’assessore (maestro e collega), che aveva convocato perché "al superiore si ubbidisce e stop" (p. 255).
Durante le riprese televisive, tutti i bambini vennero coinvolti dallo speaker Bartoccioni, il quale giustificò la loro presenza in quell’aula con uno: "Stanno compiendo un giro per l’Italia in cerca di scuole dove ci sono i maestri che tentano di rinnovar la metodologia didattica adeguandola ai principi della moderna scienza pedagogica" (ibidem).
La troupe, osservata la scolaresca e coinvolti i bambini in diverse attività organizzate precedentemente da Lodi, poi concentrò la sua attenzione sul maestro e sul suo metodo, mediante un’intervista.
E’ inutile sottolineare che il giorno delle riprese la troupe non mostrò alcun rispetto per i bambini, poiché ebbero un comportamento degno dell’opposto contrario di ciò che un adulto dovrebbe tenere se è in loro presenza.
Ma furono ancora loro, quelle piccole innocenti vittime, a rompere il ghiaccio con i dieci uomini della troupe abituandosi alla loro presenza, al loro strano lavoro e a fare amicizia; mentre era proprio il maestro l’unico a sentirsi a disagio e "a far papere." (p. 256).
Nonostante tutto il caos, Lodi parlò e raccontò che: "un giorno, osservando dalla finestra della mia aula, giù in cortile, i ragazzi che vivevano liberi, felici, feci un confronto con loro stessi, qui nei banchi in cui erano obbedienti, rassegnati, senza idee, mentre laggiù erano vivi e ricchi di fantasia. Da quel giorno io dissi basta a un vecchio tipo di scuola, la scuola autoritaria dove io comandavo e loro obbedivano, per incominciare un nuovo tipo di scuola in cui, liberando i ragazzi liberavo anche me, davo un senso alla mia vita, cessavo di farne, in un certo senso, dei piccoli schiavi…E poi la bellezza di non comandare, specialmente ai bambini ai quali comandano tutti. Ecco, mi pare che tutto sia nato in quel giorno che guardai dalla finestra quei bambini liberi giocare", (pp. 256-257).
In queste parole viene enunciata chiaramente la linea ideologica seguita dal MCE a cui l’autore aveva aderito, arricchita però dalla descrizione della presa di coscienza, da parte sua, della situazione in un momento di serenità, di rilassatezza, quando la mente era libera di vagare e pronta a recepire qualsiasi sfumatura presente nell’aria e che Lodi colse pienamente in quell’attimo guardando dalla finestra i suoi alunni scorazzare felici nel cortile di scuola durante la ricreazione. Di lì la presa di coscienza lo fece destare da un assopimento mentale che lo aveva tenuto imbrigliato per anni, da quando aveva iniziato quella professione, che lo aveva poi condotto a fare delle scelte precise che si erano indirizzate verso la pedagogia di Freinet e il MCE.
Da allora la carriera di insegnante di Mario Lodi subì una svolta, testimoniata da opere precise come tutti i libri pubblicati, compreso questo IL PAESE SBAGLIATO, pubblicato da Einaudi grazie all’intervento dell’amico e collega, il poeta Gianni Rodari, già famoso all’epoca, il quale interessato all’operato di Lodi e alla difficile realtà rurale
in cui si trovava ad insegnare, volle proporlo al suo editore, perché ritenuto degno di nota. E non a torto, perchè il fiuto di Rodari si rivelò infallibile: Lodi aveva realmente qualcosa da dire al mondo della scuola.
Seppur avversato e attaccato pubblicamente, subendo perfino il carcere, in gioventù, questo insigne maestro-pedagogista, ha saputo fronteggiare gli attacchi subiti, uscendone sempre a testa alta e incorrotto fino a giungere ai tempi odierni ricevendo, nel 1989, per i meriti e i benefici compiuti a favore dei bambini, perfino la Laurea Honoris Causa dall’Università di Bologna, oltre al premio internazionale Lego, sempre nello stesso anno.
La sua opera, infaticabile e indispensabile, continua ancora, nonostante sia in pensione dal 1978.

* La storia personale e la bibliografia di Mario Lodi sono consultabili sul sito www.mariolodi.it.

POST SCRIPTUM
In data 10-11-07 avevo inviato a Mario Lodi una mail specificando la mia identità e il motivo per cui gli scrivevo.
La mia richiesta riguardava la curiosità verso un particolare presente nel suo libro: l’identità del personaggio Katia. Chi era Katia? Un’ex alunna con cui l’autore era rimasto in contatto e a cui era stato d’aiuto durante i primi passi della sua attività di maestra?
La mia curiosità è rimasta insoddisfatta fino al 28-11-07, quando, ormai avevo già terminato la stesura di questa relazione e l’invio, mediante email all’Università, era già avvenuto. Per questo mi sono sentita in dovere di inserire un Post Scriptum per dare un’identità al personaggio misterioso, dopo il gentilissimo, diretto chiarimento da parte del Sig. Lodi.
La Katia che compare nel libro IL PAESE SBAGLIATO, e a cui è indirizzato tutto il diario dell’esperienza didattica di quel ciclo scolastico, non è altro che la minore delle quattro sorelle della signora Fiorella, moglie dell’autore, la quale, alla fine di una vacanza trascorsa insieme, decise di fare la maestra, per cui chiese al cognato le opportune delucidazioni, che si sono poi realizzate nelle relazioni inviatele e raccolte in questo bellissimo resoconto edito da Einaudi.
La signora Katia è poi diventata maestra, ha insegnato e ora è in pensione.

Col pretesto di questo lavoro, per l’Università Cattolica di Brescia, colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente il Dott. Lodi, il quale, grazie al suo gentile intervento, ha soddisfatto la mia curiosità e mi ha permesso di dare un volto al personaggio Katia, oltre che concludere il presente scritto in un modo più concreto. E all’utenza tengo a far sapere che Mario Lodi, per la posizione e la fama raggiunta, pur potendoselo permettere, non è assolutamente altezzoso, né si dà arie di superiorità: è rimasto una persona semplice, umile e cordiale, lo testimonia la sua risposta in cui non mi ha chiamata signora o Dott.ssa, come formalmente mi spetterebbe, ma ha iniziato la sua mail chiamandomi semplicemente: "Cara Lena… ".
Grazie, grazie ancora.

Dott.ssa X X o, più semplicemente, Maestra Lena.

8 commenti:

  1. Buongiorno ! e buonissimo fine settimana....a presto Gisella.....

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  2. Ciao...un piccolo saluto.....a presto è sempre un piacere leggerti

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  3. Eccomi quaaaaaa. Tu non sei iscritta ad Altapopolarità? E' un progetto di Giadatea, tu lasci l'indirizzo del blog e inserisci nel tuo blog gli indirizzi degli altri. Ti lascio il link così puoi spiare (se hai bisogno chiedi pure): http://altapopolarita.altervista.org/ . ......e riposati un pochino.....Ciao e buona serata. Laura.

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  4. Spero che anche il Dott. Lodi possa giungere a questa pagina. Complimenti, Lena! gategate

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  5. ...bella bella bella...... bello sto post...urka...cara Lena...grazie ancora... , ...

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  6. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  7. Ciao Dottoressa Lena....noooo, scherzo dai. Il giorno 28-11 è sempre un giorno speciale, non a caso è il compleanno del mio maritino. Ciao e un abbraccio.

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