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domenica 30 marzo 2008

L'AMANTE (libro e film)

Quando nasce un amore è come il sorgere del sole che, timido, si affaccia all'orizzonte e bacia coi suoi raggi tutto ciò che tocca. Allo stesso modo la superba colonna sonora del libanese Gabriel Yared accompagna e commenta questo film dalla fotografia stupenda.
La tenerezza dei sentimenti
nascenti tra i due protagonisti, è sottolineata dalla delicatezza con cui inizia il commento musicale, un sottofondo che nasce in sordina accompagnato dalle note di un meraviglioso richiamo alla Cina lontana, ma vicina e palpabile come le due mani che si cercano, si incontrano e poi si intrecciano saldamente, presagendo qualcosa di profondo e prepotentemente innegabile, di fronte alla cui evidenza nessuno dei due protagonisti vuole emettere alcun suono, perché ha paura di rovinare l'atmosfera regnante in quell'aurora di passione e di sentimenti sottintesi.

Avevo visto questo film in tv per la prima volta nel 1992, poco dopo la sua uscita, ma non l'avevo mai goduto a pieno, avendolo visto quasi da metà e sempre costantemente disturbata dalle chiacchiere della vicina di casa di cui ho detto in Figli di un Dio Minore. Poi, a fine agosto 2006, il regalo me lo ha fatto LA 7, tv sempre molto attenta al cinema cinese, su cui è spesso possibile assistere a qualche film eccezionale come questo o Vivere! o Addio, mia concubina (che commenterò).
Ero ancora in ferie, presso la mia famglia d'origine, e non c'è bisogno di aggiungere che, anche in questa seconda occasione, sono s
tata interrotta e disturbata nella visione, più volte. Tanto più che, essendoci scene piuttosto scabrose, non potevo avere la tranquillità di seguirlo. Infatti, LA 7 è stata molto accorta a mandarlo in onda verso mezzanotte. Pochi mesi dopo, però, mi sono rifatta , comperando il dvd, perché non ce la facevo a restare senza.
Ma torniamo a noi.

Avevo già da tempo comperato (nel 2002) il libro di Margherite Duras e, pur proponendomi di leggerlo quanto prima, ho sempre anteposto altre letture a questo.
Premetto che il libro da me in possesso è L'amante della Cina del Nord e non L'amante, da c
ui il film è effettivamente tratto. Seguendo però i dialoghi del film non ho trovato molta differenza col rifacimento della Duras, tanto più che il libro è accompagnato da chiare raccomandazioni riguardanti un altro eventuale film.
In effetti, il p
rimo libro uscì nel 1984 e nel 1990 il regista francese Jean Jacques Annaud pensò di farne un film con Tony Leung Ka Fai, nel ruolo dell'amante cinese, e con l'allora esordiente Jane March, nel ruolo della giovanissima Marguerite Duras. Solo che la scrittrice contestò duramente questa produzione che non aveva reso giustizia alla love story reale. Sembra che, secondo la Duras, Annaud aveva enfatizzato solo l'erotismo esplosivo della coppia, lasciando in sordina i sentimenti, soprattutto della ragazzina. Infatti, chi dei due è sempre disposto ad ammettere che ci è andato di mezzo il cuore è solo lui, il Cinese, mai lei. Anche se nel FILM non mancano scene in cui la ragazzina fa sottintendere, con un silenzioso pianto, il sentimento per l'amante, più grande il doppio dei suoi anni, per l'impossibilità di un eventuale sviluppo della loro storia, poichè lui è promesso, da anni, ad una ragazza che presto dovrà sposare per dovere verso la propria famiglia ricca e potente.
Nel FILM la
giovane Marguerite risulta maggiormente amareggiata dal fatto che si rende conto che, pur essendo impossibile un futuro con quell'uomo che la fa impazzire, non può più neanche essere presa in considerazione da lui e dalla comunità perché ha consumato ciò che doveva serbare per un eventuale matrimonio. Infatti, sia i francesi che i cinesi, su questo argomento, sono stati sempre concordi: una donna che avesse perso la verginità, prima del matrimonio, andava bandita e allontanta, bollata come una poco di buono, una reietta.
Ma ricominciamo da capo, giusto per seguire un filo conduttore che ci permetterà di mettere
insieme e capire i vari frammenti di film e libro.

La TRAMA è per entrambi questa.
Nell'Indocina del 1929 una quindicenne francese di famiglia borghese, caduta in
disgrazia, incontra sul traghetto che la porta da Sa-D
ec a Saigon, dove frequenta il liceo, un giovane cinese ricco e nullafacente di circa 27 anni (nel libro, 32 nel film). Lui è appena tornato da Parigi, dove aveva seguito degli studi di economia per volontà paterna, perché è l'erede di una immensa fortuna, essendo il primo ed unico figlio maschio della prima moglie. Per non disperdere il patrimonio, i ricchi cinesi erano soliti lasciare tutto in mano al primo figlio maschio, meglio se della prima ed onorevole moglie. Ed è proprio questo il caso. L'istruzione e i viaggi in occidente servivano ad imparare ad amministrare saggiamente, in un futuro prossimo, l'ingente patrimonio di famiglia.
Il giovane cinese che la ragazzina conosce quel giorno sul traghetto è bello e affascinante, raffinato ed elegante come un vero francese. Vestito all'occidentale, viaggia con una grossa limousine con tanto d'autista, pure lui impeccabilmente bardato all'occidentale. Ha gi
à notato la ragazza affacciata sul Mekong, unica bianca in mezzo a tanti indigeni.
Indossa un vestito di seta indigena - scriverà la Duras nel libro- di un bianco ingiallito; in testa ha un cappello da uomo in feltro a tesa piatta bordato da un nastro nero. Le scarpe scalcagnate da ballo in lamè nero con qualche strass, la accompagner
anno sempre e saranno perfino motivo di scherno, inizialmente, da parte del Cinese, quando le chiederà senza pudore: - Va al liceo con queste scarpe? -, mentre l'accompagna con la sua Morris Leon Bollè al pensionato Lyautey, dove dorme quando si trattiene a Saigon.
E' la figlia della direttrice della scuola di Sa-Dec, una povera ve
dova, caduta in miseria e raggirata senza pietà, dopo la morte del marito, dai funzionari demaniali della colonia francese in seguito ad alcuni investimenti sbagliati.
I figli sono tre. C'è Pierre, il più grande, un oppiomane, ladro e scansafatiche
. Ruba alla madre, ruba alla servitù pur di continuare a a giocare d'azzardo e pagarsi l'oppio nelle fumerie, dove ogni tanto commette altri furti. E' prepotente e violento. La sua vittima preferita è il fratello minore, Paul, il secondogenito, su cui inveisce con ogni genere di violenza.
Paul subisce passivamente perché è profondamente debole e vulnerabile e, molto spesso, nasconde, con la musica del suo pianoforte, le urla e il terrore che regnano in casa quando Pierre si scatena.
L'ultima figlia è la giovane Marguerite, che vuole scrivere per ammazzare,
metaforicamente, quel fratello violento e salvare l'altro. Per dare un futuro dignitoso a quella disastrata famiglia, soprattutto alla sua infelice madre, la quale, ciononostante, preferisce sempre il figlio più grande agli altri due.

L'incontro di Marguerite con quel cinese della Manciuria, alto, bello e con la pelle scura dei cinesi del Nord, sarà fatale per entrambi. Quando lui le offrirà una sigaretta, sul traghetto, la ragazzina lo scruterà insistentemente e senza ritegno, guardandolo in maniera insolente, fino a che non gli chiederà lui chi è.
Il Cinese, chiarita la sua identità e dove vive, le offrirà un passaggio nella sua
macchina, una volta sbarcati, fino al pensionato. E tra una domanda e l'altra, una risata e l'altra, si arriva al commento irriverente delle scarpine di raso così malridotte, di cui prima. Lei sta al gioco e lo invita scherzare di più su quel particolare. Ma non sa che è da quel momento che le si imprimerà nella mente ogni particolare, ogni suono, ogni odore della città cinese, ogni particolare di quella macchina e di lui, che non dimenticherà mai più.
E' a questo punto che smettono di ridere e guardano altrove imb
arazzati. Hanno smesso di ridere, di muoversi, di parlare e fingono di guardare fuori verso la "monotonia esterna", consapevoli che qualcosa, simile al silenzio calato in quell'auto, sta piombando su di loro.
Nel LIBRO è la ragazzina (qui chiamata la bambina, dalla Dur
as) ad iniziare il contatto fisico con l'uomo.

LA MANO
Marguerite non saprà mai se lui dormiva oppure no, quando gli prende la m
ano e la guarda da vicino, come un oggetto mai visto: la mano di un uomo cinese. Ha all'anulare un grosso anello d'oro con un diamante incastonato. Quella mano è bella, magra e dalla pelle ambrata. Poi, all'improvviso, non la guarda, né la tocca più. La lascia andare senza sapere se lui dorme o no. Porterà nel sonno quella mano per tenerla con sé. Poi si addormenta. Al risveglio riprenderanno a dialogare tanto per conoscersi meglio. Dopo un pò, cullata dal dondolio dell'auto in movimento, è tentata di lasciarsi andare ancora una volta al sonno, ma non riesce perché lui è così vicino, così presente…
Ad un certo punto il Cinese le chiede di chiudere gli occhi e con la stessa mano, che lei ha contemplato p
oco prima, le accarezza il viso, le labbra, gli occhi, per poi dire qualcosa in cinese, che è impossibile tradurre, a proposito del suo corpo. Non capisce, le spiega, è la prima volta che gli succede di provare quelle sensazioni. La mano continua il percorso lungo il corpo di lei, come presa da volontà propria, poi, all'improvviso, si ritira spaventata.
Il percorso con l'auto continua intercalato da qualche domanda su entrambi, sull'età di lei, ad esempio, che, lui ne è sicuro, ha aumentato, mentendogli. Poi di nuovo il silenzio. Quel
silenzio che già parlava d'amore. “Un amore accecante. Sempre in divenire. Mai dimenticato”, (p. 40).
Poi l'arrivo al pensionato. Si lasciano senza voltarsi, senza guardarsi. Senza conoscersi più.

Nel FILM la ragazzina, sia pur con reticenza, saluta e ringrazia il Cinese, il quale, invece, resta senza parole a guardarla sopraffatto dalle emozioni e strozzato da quella esplosiva novità che non ha mai provato.
Qualche mattina dopo, si
a nel libro che nel film, alle 7,30, dirigendosi al liceo, lei lo rivede.
Lui è lì nella sua limousine nera, col suo impeccabile autista. E' l'inizio della storia, scriverà poi la Duras.
Attraversata la strada, la ragazzina si dirige lentamente verso di lui. Si guarderanno un po', poi lei, appoggiando la mano sul finestrino, lascerà impresso un bacio tenendo gli occhi chiusi, come ha visto fare nei film.
Anche il Cinese aveva guardato e abbassato gli occhi, consumato dal desiderio irrazionale per quella creatura poco più che una bambina; quindi lei scappa a scuola. E' in ritardo.
All'uscita da
scuola, nel LIBRO, lui è di nuovo lì ad aspettarla, nascosto nella sua Leon Bollè, protetto dalle tendine bianche.
La ragazzina si dirige verso la macchina con i
sandali in mano e l'autista, già giù, le apre la portiera per farla salire e accomodare vicino al suo padrone.
Seduti l'uno accanto all'altra, nonostante l'imbarazzo, si stringono e si confessano il reciproco desiderio.
Arrivano a Cholen, poco più in là di Saigon. Attraversano la città cinese “col frastuono dei vecchi tram…che avanzano senza smettere di suonare…a cui sono appesi grappoli di bambini di Cholen”,(
p. 53). Poi, ad un tratto, la folla non c'è più. Come per incanto è scomparsa. C'è solo la quiete. Il rumore, pur rimanendo invariato, si allontana.
La macchina ha imboccato una via di capanne a schiera, tipiche dell'Indocina. Ci sono delle fontanelle, dei portici ed è in quel villaggio, sotto un portico, che lui la condurrà davanti ad una porta che aprirà sulla modesta oscurità di una stanza spoglia e con pochi mobili: un letto, una poltrona e un tavolo. E' quella la garçonniere o camera dello scapolo, destinata, nelle famiglie ricche cinesi, ai giovani rampolli per portarci le loro amanti. E' un'usanza ormai consolidata da tempo fra quelli del suo ceto, spiega il Cinese. E' in quella stanza che avverrà l'iniziazione sessuale e sentimentale della giovane Marguerite.
Ma lui ci ripensa e vuole portarla via. E' troppo piccola, dice, non può farle questo. Perciò sarà lei a prendere l'iniziativa, a dare il via a quella storia che sarà l'ispirazione di altri grandi
romanzi della futura scrittrice.

Il resto, nel LIBRO in questione, se non è proprio fedele al FILM, lo ripercorre abbastanza similmente. Gli elementi che accomunano le due opere sono la povertà della ragazza e della sua famiglia, la violenza di Pierre, il fratello maggiore e il disprezzo per gli indigeni da parte dei bianchi, e per tutto ciò che è cinese, compreso il ricco amantte della giovanetta.
Ciò che invece differisce dal FILM, in questo LIBRO, è la presenza costante dell'amore, che tenta di fare sempre capolino. Che lui ammette apertamente, sin dall'inizio. Lei no. Un sentimento a cui però si arrenderà e che accetterà apertamente, solo in seguito.
Nel FILM la ragazzina non
si lascia andare al sentimento. Pensa che sia solo il desiderio sfrenato a dominare quella storia. Solo alla fine, quando è ormai lontana, ammetterà con sé stessa, che ha amato quel cinese affascinante e innamorato.
Nel LIBRO Marguerite è invece letteralmente costretta dalle circostanze a partire per la Francia, progetto che la madre aveva già in me
nte, ma che non si decideva mai a realizzare. Sarà il padre del Cinese a costringere la ragazzina e la sua famiglia ad andar via, perché sa che suo figlio è perdutamente innamorato di lei e non vuol più saperne di sposare la ragazza promessagli dieci anni prima. Lui vuole solo partire, portarla via e venir meno a tutti i programmi e le più antiche tradizioni. Ma non può farlo, perché suo padre lo diserederebbe e non gli lascerebbe scampo. E lui senza i suoi soldi sarebbe finito.
In fin dei conti, ammetterà la Duras, lui non ebbe mai il coraggio di contravvenire la volontà paterna. Per questo la ragazza partì senza opporre resistenza, pur schiacciata dal dolore e col cuore a pezzi, guardandolo da lontano, appoggiata al parapetto della nave, sul mare, come quel giorno sul traghetto che la portava a Saigon, quando lo aveva conosciuto. Solo che adesso quella stessa limousine, la quale era stata teatro e testimone del loro amore, non era lì a viaggiare con lei, ma giù sulla terraferma, nascosta dietro a mille cose. Anche se era lì per lei con lui. E lui non era altro altro che una forma abbandonata in un angolo. Sposato. Con un'altra.

Molti anni dopo il Cinese si recò a Parigi con la moglie e i figli e telefonò al suo grande amore di gioventù solo per sentire la sua voce. Aveva tremato per la paura e per l'emozione ed era stato quello a far riconoscere alla non più giovane Margherite l'identità del suo interlocutore, perché in quei casi veniva fuori l'accento cinese del Nord e lei, quell'accento, lo ricordava fin troppo bene.
Secondo lui, aveva continuato a dirle il Cinese al telefono, la loro storia era rimasta come un tempo. Non avrebbe potuto mai smettere di amarla e l'avrebbe amata fino alla morte.

CONSIDERAZIONI PERSONALI SU LIBRO E FILM
Grandi differenze, a dire la verità, nei particolari non ne ho trovate. Il FILM
è abbastanza fedele a questo remake de L'Amante, il romanzo originario, che ha ispirato Annaud e che io non ho avuto ancora modo di leggere. Perciò non so quanto il regista abbia cambiato nel copione rispetto allo scritto originario della Duras.

Nel FILM le cose più riuscite, a mio parere, sono la perfetta ricostruzione dell'Indocina del 1930, con la fotografia stupendamente malinconica, e l'insuperabile leit motiv della superba colonna sonora di Gabriel Yared.
Per quanto riguarda il cast degli attori, il premio Oscar lo darei a Tony Leug Ka Fai, il protagonista maschile, il quale, oltre ad essere un uomo magnifico - e durante il film lo si può ampiamente ammirare - (lo so, sono di parte), è perfettamente calato nel suo personaggio, tenero e sensuale, vittima sacrificale, perdutamente innamorato di una ragazzina crudele che, apparentemente senza cuore, lo usa e lo sfrutta, vendendosi e approfittando dei suoi sentimenti e della sua ricchezza. Sono notevoli i primi piani sul viso mobile dell'attore, così pronto ad assumere un'espressione di ira un momento prima e subito dopo un'altra di disperazione con tanto di lacrime. Non a caso Tony Leung Ka Fai ha vinto ben due Awards del suo paese per altre interpretazioni.
Anche Frederique Meninger, l'attrice che interpreta la madre della Duras, è bravissima nel suo ruolo tragicomico di perdente.
Quella che invece mi ha lasciato alquanto perplessa è la scialba protagonista femminile, l'allora diciassettenne inglese Jane March. Poco convincente e piuttosto freddina rispetto al personaggio sensuale che avrebbe dovuto interpretare, continua preda del piacere voluttuoso. La March sembra invece essere stata messa lì quasi per sbaglio. A nulla, o per lo meno a poco, sono serviti i numerosi nudi, i sospiri e i gemiti di piacere emessi durante gli amplessi previsti dal copione. Insomma, non mi è sembrata la rivelazione che hanno voluto sostenere, come invece lo fu l'evidente talento di Jodie Foster al suo debutto.
Del regista J. J. Annaud ci sarebbe molto da dire, ma rimando la sua articolata ed eclettica biografia alle numerose notizie reperibili in rete. Di lui basterà sapere qui che è il geniale regista di al
tri famosi film di notevole successo, come Bianco e Nero a Colori, che gli valse l'Oscar nel 1976; Il Nome della Rosa ( 1986); Sette anni in Tibet (1998).

QUALCHE CURIOSITA'
Questo film, nella carriera cinematografica di Annaud, è stato definito "una sfida, perché il regista fa parlare i corpi dei protagonisti come nessun dialogo può" (fonte: la rete). Infatti, egli stesso, in un'intervista, spiegò: “Il film è la storia di un conflitto fra ragione e sentimento e l'idea è quella del rifiuto del corpo, della difficoltà che ha la mente di accettare la materialità e l'istintività del desiderio”. Non a caso La 7, come ho già detto in precedenza, ha mandato saggiamente in onda questo film verso mezzanotte, essendoci scene piuttosto ardenti. E - apro qui una breve parentesi -, non capisco proprio come si possa definire "per tutti", com'è riportato sul dvd, un film simile, che avrebbe dovuto essere invece vietato ai minori di 16-14 anni.
Ma torniamo a noi.

Il FILM L'amante prima di essere distribuito nelle sale cinematografiche era già famoso per le scene di sesso esplicito presenti nella pellicola. Anzi, sembra che questo procurò qualche rogna al regista. Infatti, durante la lavorazione, la protagonista femminile, Jane March, era chiaramente minorenne, essendo nata nel 1973.
In più, sembra che le scene di sesso nel film non furono proprio delle finzioni. E conoscendo il proverbiale e maniacale perfezionismo del regista Annaud, non c'è da meravigliarsi se così fosse successo.

MARGUERITE DURAS
- CENNI BIOGRAFICI
Nata a Saigo
n, Vietnam, nel 1914, il suo vero cognome era Bonnaud.
Nel 1932, lasciato il Vietnam, si trasferì a Parigi dove, in seguito, lavorò nell'ambito editoriale.
Nel 1943 fu un' attivista della Resistenza francese. Nel dopoguerra, iscrittasi al partito comunista, dal quale, considerata dissidente, fu espulsa nel 1950.
Letterariamente esordì nel 1942 col romanzo Gli Impudenti. Il successo le arrise però con Una diga su
l Pacifico (1950), che le aprì anche le porte dorate del cinema, prima come sceneggiatrice (da ricordare Hiroshima, mon amour, di Alain Resnais, 1959) e poi come regista (India song, 1974).
La sua attività principale però restò prevalentemente quella di scrittrice. Tra la sua numerosa produzione (34 romanzi tra il 1943 e il 1993) sono da ricordare: Il piccolo giardino, Moderato Cantabile, Il pomeriggio del signor Andesmas, Occhi blu capelli neri, oltre a L'amante.
Margherite Duras è morta a Parigi nel 1996.

PERCHE' HA SCRITTO L'AMANTE E L'AMANTE DELLA CINA DEL NORD.
L'opera originaria, L'amante, fu scritto nel 1984, libro che valse alla Duras il famoso e distinto premio letterario francese Prix Goncourt, nel quale narrava una parte della sua giovinezza trascorsa in Vietnam. Successivamente, nel maggio 1990, l'autrice, venuta a sapere della morte dell'uomo, protagonista del suo libro, un anno prima, riscrive sei anni dopo, la storia del loro amore. Solo che nella seconda stesura la storia viene ampliata e approfondita perché, in fin dei conti, questa esperienza costituisce la radice di tutta l'opera letteraria della Duras.
Alla notizia della morte del suo vecchio amante, ella scriverà: “Non avevo mai immaginato che il Cinese sarebbe morto…Per un anno ho ritrovato l'età dell'attraversamento del Mekong, sul traghetto di Vinh Long…Sono tornata a scrivere romanzi”, (pp. 9-10).



mercoledì 26 marzo 2008

L'ANALISI SPIETATA DELLA CINA DI CHANG E MAO

PREAMBOLO
Continua oggi il mio viaggio alla scoperta della grande e inesplorata letteratura cinese del '900 con un altro bell
issimo libro-denuncia sulla Cina post Impero. L'autrice è la dottoressa Han Suyin, una bravissima scrittrice/medico cino-belga divenuta più famosa al grande pubblico, soprattutto, grazie al fortunato best seller ispirato ad una vicenda autobiografica, A Many Splendoured Thing, tradotto in italiano come L'amore è una cosa meravigliosa, da cui fu tratto, nel 1955, il notissimo e omonimo film con Jennifer Jones e William Holden e di cui si ricorderà certamente la splendida colonna sonora Love is a many splendoured thing, premiata giustamente con l'Oscar.
In questo libro Han Suyin narrava la struggente storia d'amore vissuta tra lei stessa (medico all'ospedale di Hong Kong) e un giornalista inglese, Ian Morrison, corrispondente del Times di Londra e reporter di guerra in Corea.

Il tema del romanzo che voglio illustrarvi in questa sede è proprio questo, riservandomi ad un'altra occasione la recensione de L'amore è una cosa meravigliosa.

In FIN CHE VERRA' IL MATTINO il ruolo dei protagonisti è invertito. La coppia è, infatti, formata da un medico cinese, Jen Yong, e da una giornalista americana, Stephanie Ryder.
Stephanie si trova in Cina per inseguire un sogno, più che per amore di un don
giovanni fallito (e sposato), il quale la desiderava in quella terra remota, solo per compagnia e per soddisfare i suoi appetiti sessuali. Cosa che però il destino a lui non riserverà, perché morirà in un incidente prima di metter piede in estremo oriente. Sarà solo lei, per niente affranta da quella perdita, a cominciare un nuovo capitolo della sua vita che, da quel momento in poi, cambierà radicalmente nel giro di pochi mesi.

Siamo nel 1944 a Chungking, a sud della Cina, nella provincia dello Szechwan, dove si era ritirato il governo di Chang Kai-Shek in seguito all'irriducibile avanzata degli invasori giapponesi, dopo che città dopo città, provincia dopo provincia, la regione era caduta, nonostante la popolazione ostinata, non si arrendeva, pur avendo sotto gli occhi la disfatta di grossi centri come Nanchino, Shanghai, Wu-Han e il feroce bombardamento sulla stessa Chungking, nel maggio del 1939. La sovraffollata città, nonostante tutto, aveva mantenuto un morale alto: tutti avevano contribuito alla ricostruzione, a vivere, a ridere e a lavorare, pur sotto ripetuti bombardamenti e conseguenti ricostruzioni. E gli Americani in Cina si innamoravano di quella terra tanto diversa, proprio grazie a quegli abitanti e alla loro ammirevole tenacia.
In quel momento, nel 1944, però, il Kuo-ming-tang di Chang Kai-Shek stava vivendo un periodo turbolento. La popolarità del 1938-39 era stata sostituita dall'odio più feroce, poiché quel
governo, da eroico e glorioso quale si era mostrato pochi anni prima, si era lasciato sedurre da corruzione e dispotismo, distruggendo la valorosa immagine conquistata. E il popolo gli si era rivoltato contro e aveva iniziato timidamente ad aprirsi al maggiore avversario, già potentemente organizzato in segreto: il partito comunista capeggiato dal giovane Mao Tse-Tung.

STEPHANIE

Figlia di un ricco e potente ingegnere aeronautico di Dallas, in Texas, in possesso anche di ingenti giacimenti petroliferi, e di una nobile francese, la quale, per amore di quell'intraprendente americano aveva rinunciato alla sua famiglia, Stephanie si era laureata un anno prima in Storia Asiatica alla Radcliffe University. Aveva quindi accolto, con entusiasmo, la proposta rivoltale da Here, la rivista per cui lavorava, di recarsi in Cina per un anno, per scrivere dei servizi esclusivi sulle donne in guerra. Una volta giunta a Chungking, l'allora ventunenne Stephanie, era rimasta allibita e indignata dal disgusto per la situazione trovata in quella città, sentendosi sem
pre più in comunione con le sofferenze della gente del posto.
Sarà proprio durante uno dei sopralluoghi previsti per svolgere il proprio lavoro, che la giornalista si i
mbatterà in un episodio di palese ingiustizia, il quale la porterà ad intervenire apertamente.
Una bella mattina la giovane, raggiunto il "ciglio dello strapiombo dove le mura della città si sgretolavano in un caos di pietre e di macerie" (p. 12), restò a guardare il paesaggio 150 m sotto la penisola a forma di cucchiaio su cui sorgeva la città, mentre il fiume Yang-tze distendeva le sue acque gonfie per la massa di nevi himalaiane discioltasi e finita dentro, aumentando il livello delle acque, di quella estate, di quasi 30 metri e spazzando via parecchie delle casupole costruite troppo vicine alla riva.
In fondo ad un sentiero scosceso, Stephanie poté rendersi conto, dalla fungaia intravista, che laggiù viveva un quarto dei due milioni di abitanti di Chungking.
" Quei grappoli di catapec
chie che crescevano dai rifiuti della città, sulle discariche, delle immondizie o su tutto ciò che veniva eliminato, gettato via, scartato. Gli abitanti dei tuguri vivevano del putridume della città, spuntavano come funghi della sua sozzura" (p. 13).
Quello, secondo Stephanie, era il materiale ideale per una serie di articoli e lei aveva tutte le intenzioni di scriverlo, corredandolo di foto-verità.

Scendendo la sdrucciolevole roccia friabile, iniziò a sentire delle urla davanti al primo gruppo di baracche. Alcuni soldati lerci, scarmigliati e con un'espressione di pura cattiveria dipinta sul volto, stavano spingendo fuori dai loro tuguri uomini e donne, percuotendoli con il calcio dei fucili, abbattendo, contemporaneamente i puntelli di bambù, sostenenti i tetti di cartone, di tela cerata e di assi fradice fissati con lo spago. Stephanie vide "crollare tutto ciò tra nubi di sporco e di cenere" (p. 13).
-Perché?-, si chiese. Sapeva
che quelle azioni di sgombro delle baraccopoli venivano definite dai militari cinesi: tener pulita la città. Ma perché poi costringevano gli uomini ad andare in quelli che definivano campi di reclutamento, dove gli sventurati trovavano quasi sempre la morte?
I soldati non si erano ancora accorti di lei, per cui Stephanie poté scattare qualche foto in tutta tranquillità, mentre le donne inferocite si avventavano contro i militari che portavano via i loro uomini come bestie. Una di queste, una giovane donna in avanzato stato di gravidanza, uscita faticosamente dall'ultima baracca, appoggiata ad un bambino, si era avvicinata all'ufficiale che comandava l'operazione. Bello, alto e impeccabile, se ne stava in disparte a osservare la scena, quando si vide davanti la donna inginocchiata, la quale si indicava il ventre, insieme al figlioletto inginocchiato, pure lui nella polvere, che chiedevano pietà.
Dopo averli guardati l'ufficiale, palesemente disgustato, alzò un piede c
alzato di stivali di cuoio e sferrò un calcio al ventre della donna. Di fronte ad un così evidente abuso di potere, Stephanie intervenne scagliandoglisi contro e urlando: - Lurido bastardo, come può…come può…- . Al che le due guardie, che erano ai fianchi dell'ufficiale la trattennero, torcendole le braccia dietro la schiena, mentre lui, dopo averla schiaffeggiata, le tirò un cazzotto in piena faccia. Subito dal naso di Stephanie sprizzò un fiotto di sangue rosso che le macchiò l'abito, mentre i soldati impauriti la lasciarono andare. Anche l'ufficiale sembrava impaurito perchè si era reso conto che quella era una straniera e, sicuramente un'americana, quindi, voltatosi, aveva ordinato ai soldati di mettersi in riga e andarsene. La malcapitata gestante, che poco prima era sembrata in preda al travaglio, giaceva adesso a terra col volto esangue, confortata unicamente dal bambino che, accovacciatosi al suo fianco, le stringeva la mano e gemeva.
Fu il ventre gonfio e sussultante di vita della donna a svegliare Stephanie dal suo torpore, a farle decidere rapidamente che doveva portarla in ospedale. Pur non conoscendo una sola parola di cinese, la giornalista continuò a gridare la parola "dottore" con una certa urgenza, alla cui preghiera rispose proprio il bambino, parlando agli abitanti dei tuguri rimasti a guardarli. Senonchè alcune donne sollevarono il corpo riverso, men
tre gli uomini portarono una sedia rotta di bambù e vi adagiarono la donna su; quindi, issatisi sulle spalle le stanghe della sedia, attesero che Stephanie s'incamminasse davanti a loro.

L'INCONTRO
All'ospedale Stephanie s'imbattè in una pietosa infermiera, che andò subito a chiamare il primo medico disponibile, Jen Yong, appunto, il quale proprio in quel momento stava smontando dal turno notturno ed era palesemente stanco e irritato da quell'imprevisto, perché non vedeva l'ora di andarsene per riposarsi. Essendo però un medico coscienzioso e sempre pronto ad accettare, senza lamentarsi, un ennesimo ricovero, anche in momenti come quello, accolse la nuova paziente mettendosi subito all'opera.
Accertatosi dell'accaduto Jen Yong, pur con la testa che gli girava per la stanchezza, notò che la soccorritrice straniera era graziosa e schietta, per cui, sorridendo dapprima, la ringraziò per aver soccorso la donna e poi le disse che, se voleva avere notizie, avrebbe potuto telefon
are più tardi. Stephanie, dopo essersi presentata e chiarito chi fosse, assicurò che avrebbe telefonato più tardi. Anch'ella aveva avuto un guizzo di fronte a quel giovane medico magro e poco più alto di lei, il quale si era mosso con delicata sicurezza quando aveva visitato la gestante ferita. Jen Yong le era piaciuto subito perché si muoveva armoniosamente, sicuro di sé stesso e, soprattutto, per i suoi capelli neri dai riflessi bluastri oltre che per quegli occhi dalle sopracciglia alate e il naso sottile. Le era sembrato costruito come uno strumento di precisione o "come una di quelle levigate statue di giada" (p. 22). Proprio come la levigatezza della sua pelle.

YONG NEL CONTESTO STORICO
Il dottor Jen Yong (Yong è il nome. I cinesi, per distinguersi, usano presentarsi prima col cognome e poi col nome) era nato a Shanghai 28 anni prima, in una facoltosa famiglia di banchieri ed era giunto a Chungking dopo che i Giapponesi avevano già occupato la Manciuria e stavano invadendo la Cina settentrionale. In quel periodo in tutte le università e le scuole superiori, gli studenti si opponevano con rabbia a quell'invasione, sfilando per le strade e organizzando manifestazioni, in seguito alle quali venivano picchiati, presi a fucilate e imprigionati da Chang Kai-Shek. Quest'ultimo, dal canto suo, non aveva nessuna intenzione di combattere gli invasori, per cui continuava ad organizzare solo delle disastrose e fallimentari spedizioni militari contro i comunisti cinesi.
Nel '36 però Chang Kai-Shek era stato catturato dai comunisti e tutti avevano creduto che sarebbe stato ucciso. Dubbio subito fugato allorché, liberato, annunciò che lui e i comunisti si erano alleati contro il Giappone, facendo crescere la sua popolarità a dismisura. Jen Yong, e tanti altri, contagiati da una grandiosa ondata di patriottismo dal 1938 al '42 avevano creduto e sperato che Chang avrebbe mantenuto la promessa.
Nel '41 però il tradimento. Chang aveva ordinato alle sue armate di non combattere più i Giapponesi, lasciando ai comunisti tutto il peso della lotta, mentre riprendeva ad attaccare quelli che attualmente erano i suoi alleati. E Jen Yong era cambiato come un'intera moltitudine di intellettuali non comunisti, i quali restavano a guardare, ormai impotenti e con disperazione "la corruzione che disgregava il Kuo-ming-tang, la sua tirannia, il potere schiacciante della polizia segreta" (p. 18).
Perciò tantissimi intellettuali abbandonarono Chungking per Yen-an, roccaforte dei guerriglieri comunisti. L'ardente amore per la Cina creava un alone magico attorno a questi ultimi. Agli occhi di tutti gli intellettuali non comunisti, quei guerriglieri rossi venivano visti come dei
patrioti, perfino da coloro che rifiutavano il dogma del comunismo, come Jen Yong appunto. Fin dal 1937 il prestigio del partito comunista non aveva fatto che salire e dilagare in tutta la Cina, perfino a Chungking, ancora centro del potere di Chang Kai-Shek.
Molte erano le persone che, apparentemente, svolgevano delle professioni dall'aria neutrale, mentre, occultamente, operavano per organizzazioni comuniste clandestine. Nell'ospedale dove Jen Yong esercitava la sua professione di medico, il capo dell'organizzazione comunista era un personaggio minore, un vinto, uno che puliva le sputacchiere e lavava padelle e pappagalli, oltre ai bagni
pubblici: Vecchio Wang.
Era Vecchio Wang a dare le direttive a Jen Yong. Quest'ultimo addestrava, in seguito, personale medico che poi partiva per Yen-an, travestito nei modi più vari e munito di permessi falsi.
Nel 1941 Chang Kai-Shek ricominciò a delirare e ordinò il massacro di parecchie unità della Nuova Quarta Armata comunista, le cui vittime furono migliaia di medici, infermieri e pazienti.
Venuti a conoscenza de
ll'accaduto, i giornalisti stranieri non l'avevano presa bene, mentre i diplomatici avevano ammonito Chang contro una ripresa della guerra civile in Cina, disastrosa per la causa alleata, la quale faceva ormai parte della seconda guerra mondiale.
Era intenzione degli Usa continuare a far combattere Chang Kai-Shek, il quale concepiva unicamente una cosa: il potere. Nient'altro importava. Allo stesso modo la pensavano i comunisti: il pallino non era altro che il POTERE.
Ma c'era a Yen-an, roccaforte dei comunisti, un nuovo leader, che si era appena imposto, Mao Tse-Tung, assecondato dall'abile e colto rivoluzionario Chou En-Lai, in verità, la mente del partito. Roosvelt, dagli Usa, voleva saperne di più sul conto di questi due personaggi, per cui Chang aveva dovuto, a malincuore, accettare a Yen-an una missione militare americana giunta il 22 luglio, la quale inviava, direttamente a Washington, rapporti favorevoli.

Ma nel maggio del '44 il Giappone, per eliminare le dozzine di basi aeree americane disseminate nel territorio cinese non occupato, aveva sferrato una grande offensiva.
Di fronte a un tale attacco Chang Kai-Shek non aveva combattuto i giapponesi, né protetto le basi aeree americane, alcune delle quali furono occupate dagli invasori con grande sdegno dell'America.
Nel frattempo gli abitanti dei villaggi e i contadini erano stati mobilitati scaltramente dai comunisti, i quali avevano salvato un centinaio di americani tra piloti, meccanici e altri. E la notizia si era diffusa.

YONG
Jen Yong era arrivato a Chungking sei anni prima, dopo essersi laureato, a piedi da Shanghai, la grande città costiera dove, come abbiamo già detto, era nato. Era giunto lì in compagnia di altri studenti e professori, pur di sottrarsi all'occupazione giapponese. E si era innamorato subito della gente dura e fiera dello Szechwan, regione a cui Chungking apparteneva. Lì, Yong sentiva pulsare il cuore della sua patria, lui, l'uomo ricco e sofisticato, di estrazione borghese.
La fuga da Shangai era durata quattro mesi e, una volta giunti a Chungking, Yong e gli altri avevano creato una facoltà di medicina. Da allora aveva sempre lavorato nell'ospedale, fondato
da medici missionari americani, ed era convinto che, una volta vinta la guerra, coloro che avevano affrontato il grande esodo, sarebbero tornati a casa, compreso lui.
Tutti quelli della sua generazione pensavano a salvare il paese, perché era una missione che sentivano di avere nel sangue e, una volta presa coscienza di quanto fosse sventurata la Cina, con la sua storia piena di vergogna e umiliazioni, avevano agito per la salvezza nazionale della loro gente negletta e sfruttata dalle potenze coloniali, prima, e dagli invasori, poi.
Yong era pervaso da uno spirito patriottico che andava ben al di là dei principi comunisti, anche se molti credevano che i salvatori della Cina sarebbero stati, alla fine, questi ultimi e che avrebbero messo ogni cosa a posto. Si spiegava così l'allontanamento volontario di tanti giovani da Chungking per Yen-an. Ma lui non era comunista, né iscritto al partito. Era solo un giovane patriota idealista, che si prestava affinché la sua gente migliorasse le proprie condizioni di vita. E per fare questo era consapevole che solo l'America poteva aiutarli.

UNA COPPIA

Yong e Stephanie si rincontreranno a causa della donna soccorsa. Grazie ad una banale telefonata di Stephanie all'ospedale per informarsi sulle
condizioni di salute della paziente, Yong aveva colto la palla al balzo e aveva lanciato un invito a cena, pur paralizzato dalla propria sfacciataggine. Voleva vederla e a niente erano servite le spiacevoli riflessioni, dopo l'impulsività del gesto, di dover chiedere un prestito, perché lo stipendio percepito era bassissimo, e certe uscite erano solo dei lussi che lui non poteva permettersi.
Appena si rividero Yong seppe subito di amarla e, pur di ingannare il silenzio, si lanciò in uno sproloquio sulla chirurgia e sulla medicina, che in Cina era ancora così indietro e che lui, sperava, un giorno, di recarsi in America per aggiornarsi sulle nuove tecniche chirurgiche più all'avanguardia.
La serata fu magica per entrambi e lasciò l'inconfondibile segno che presagiva un profondo e radicale cambiamento nelle loro vite, così restarono d'accordo che si sarebbero ancora visti. Poi ognuno si diresse, sognante, verso la propria abitazione. Anzi, Yong continuò
a vagare per la strada come su una nuvoletta che lo teneva sollevato un metro da terra, tanta era l'estasi in cui era precipitato. L'avrebbe rivista, di questo ne era almeno certo.
In effetti, i due giovani si videro ancora fino a dichiararsi e sposarsi, mediante la registrazione del matrimonio nei registri del partito comunista, dopo una lunga serie di traversie passate, da entrambi, a causa della rigidità sospettosa di quest'ultimo.
I due sposi, durante la conquista maoista, si stabilirono a Shangai, la città di lui, e andarono ad abitare nell'antica casa della famiglia Jen, che accolse a braccia aperte la giovane nuora americana, dimostrando una grande apertura mentale. Lì a Shangai, qualche anno dopo, nacque il primo figlio della coppia, Jen Lin, altrimenti detto Tesoro d'Inverno. Anche a Stephanie venne dato un nome cinese, Neve di Primavera, perché, sosteneva Yong, "la neve di primavera era improvvisa e scendeva sui fiori di melo senza distruggerli" (p. 204). Proprio come era Stephanie agli occhi di suo marito. Così, ogni volta che lei si sentiva chiamare in quel modo, veniva sempre pervasa dalla dolcezza dei delicati versi delle antiche poesie composte in quella terra plurimillenaria, che recitavano così:

Sotto la neve di primavera,
tutte le donne sono belle
Il mio cuore è vuoto,
vi
penetrerà la marea…,


restando sempre incantata di fonte alla loro grazia perfetta.

Gli anni a Shanghai non sono però tutti rose e fiori, e Yong sarà perseguitato e arrestato a causa di quella moglie americana.
Anche per Stephanie non sarà facile la vita in quella città: sospettata e criticata apertamente, pur avendo mostrato, in più occasioni, di essere le
ale alla nazione cinese e al partito predominante, vedrà più volte affissi pubblici manifesti sui quali venivano stampate le accuse rivolte contro di lei, dichiarata filo-imperialista a causa del favore temporaneo che l'America accordava al Kuo-ming-tang di Chang Kai-Shek. Siamo negli anni del più duro maccartismo americano e i rapporti trai due paesi sono praticamente inesistenti.
Yong, invece, veniva bollato come cane controrivoluzionario.
Le cose non cambieran
no neppure dopo il trasferimento da Shanghai a Pechino.

Dopo aver goduto di una relativa tregua, durante il cui periodo, Yong lavorava come chirurgo di fama e apportatore di illuminanti innovazioni, nell'ospedale della capitale, mentre Stephanie insegnava letteratura inglese prima all'università, poi in una scuola per stranieri, oltre a tradurre opere dal cinese all'inglese, vista la sua perfetta conoscenza della lingua di quel paese, l'incubo ricominciò.
Un bel giorno, durante la famigerata Rivoluzione Culturale, Yong e Stephanie furono accusati, ancora una volta, mediante i soliti manifesti affissi negli ospedali, nelle università e nelle scuole. Uno di questi contro Stephanie recitava:

LAI NEVE DI PR
IMAVERA, STEPHANIE RYDER AGENTE DELL'IMPERIALISMO CULTURALE AMERICANO.

Questo ennesimo manifesto accusatorio era stato redatto solo per proteggere le menti dei giovani socialisti rivoluzionari dalla corruzione borghese.
Mao aveva esercitato una sottile azione depurante sulle menti di quei giovani che adoravano letteralmente la sua figura. Ed, esattamente al Kuo-ming-tang, aveva continuato a perpetrare il confino, ai controrivoluzionari, in zone remote e prive di comunicazioni. A questo era stato condannato Yong quando Stephanie partì, approfittando del permesso che il partito accordava, agli stranieri residenti, di ritornare nel loro stato d'origine ogni tre anni.
Dopo una gravidanza interrotta al sesto mese, per un aborto spontaneo, la giovane donna era nuovamente incinta di un erede di sangue misto, razza tanto disprezzata ed emarginata. Pregiudizio che neppure lo spirito anticonformistico e rivoluzionario del comunismo era riuscito a cancellare.
Yong non era a conoscenza di questa nuova gravidanza di sua moglie, né Stephanie ebbe mai intenzione di rivelarglielo. Voleva solo andar via da lì, da quel mondo pieno di odio e di sospetto, per parto
rire quella creatura che portava in grembo, in un mondo meno ostile e soffocante. Dopo anni Stephanie era giunta ad odiare le dolcezze seducenti della famiglia di Yong, che si era impadronita del suo primo figlio. Adesso voleva girare alla larga e rivedere i posti dov'era nata e di cui sentiva una struggente nostalgia, mentre riaffiorava quella familiarità dimenticata da tanto.

IN TEXAS
Giunta a Dallas, in Texas, dov'era protetta dalla ricchezza e dalla potenza paterne, Stephanie dovrà fare i conti però con i servizi segreti americani, CIA e FBI, che la tengono d'occhio e la sospettano di collaborazionismo con la Cina rossa. A causa di queste persecuzioni, la giovane donna partorirà una bambina settimina, mentre Yong veniva confinato nel lontano campo di rieducazione di Lingfu, la Città Nuova, promessa del progresso industriale del futuro, in qualità di medico di quell'ospedale, reo di essere un deviazionista di destra. Questa pena gli era stata comminata a causa delle sue idee all'avanguardia, illustrate in un progetto da attuare nell'ospedale di Pechino.
Pur avendo ormai raggiunto una notevole fama nel campo medico-chirurgico, Yong era stato, ancora una volta, accusato d
i spionaggio contro-rivoluzionario a favore di Chang Kai-Shek e bollato filo-imperialista e come deviazionista di destra, quindi confinato a Lingfu, sempre per quella sua moglie straniera.
In questa città la sua fama e la sua bravura gli fecero trovare degli alleati segreti nei giovani medici dell'ospedale, che collaborarono con lui affinché venisse riabilitato.
Infatti, riabilitato, Yong, farà ritorno a Shanghai dove lo attendevano la sua famiglia e suo figlio Tesoro d'Inverno. Stephanie era ancora in Texas. La invitò quindi a tornare perché tutto si era sistemato, ma non aveva ancora letto la sua ultima lettera, nella quale Stephanie gli annunciava di essersi legata, per solitudine, ad un altro uomo, un collega giornalista, il quale la amava da sempre e che era arrivato in Cina molto prima di lei.
Yong, affranto, si confidò con la Madre, la quale ammise, saggiamente che sua nuora era vittima della lontananza e aveva bisogno di un uomo al fianco. Pertanto Yong le offrì il divorzio, che Stephanie non prese mai in considerazione. I contatti epistolari tra i due coniugi, a questo punto, si interromperruppero. Chi si occupò di tenere insieme i fili di questo legame,
da quel momento in poi, fu il loro Tesoro d'Inverno. Fino a quando, nel 1971, appianatisi molti ostacoli tra Cina e Usa, Stephanie riuscì a tornare in oriente per far conoscere la figlia Marylee al padre.
Yong, nel frattempo, perseguitato inconsapevolmente, e segretamente, da un potente personaggio già incontrato, il quale ha tramato contro i due coniugi, per tutta la durata del romanzo, soccomberà, a causa di alcuni sicari, e non assaporerà mai la gioia di vedere quanto quella figlia sconosciuta gli somigli.
Ma, alla fine, giustizia sarà fatta e il bene trionferà.

CENNI BIOBIBLIOGRA
FICI SULL' AUTRICE
Han Suyin è nata il 12-09-1917 a Zhou Guang-Hu (o Chou Kuang-Hu) in una famiglia Hakka, nella provincia dell'Henan, in Cina. La sua famiglia paterna è originaria di Meixian, una provincia del Guandong. La famiglia materna è invece di origine belgo-fiamminga. I
l suo vero nome è Elisabeth Mathilde Comber.
La dottoressa Comber, nome cinese Han Suyin, laureatasi già a Pechino, si trasferì, per proseguire gli studi, a
ll'università di Bruxelles, studiando in francese. Continuò, poi, gli studi scientifici, presso l'università di Londra, dove si laureò e specializzò come medico, professione esercitata, in seguito, nell'ospedale governativo di Hong Kong.
Nel 1938 la scrittrice/medico sposò Tang Pao Huang, ufficiale militare dell'esercito nazionalista cinese e adottò una figlia, Yungmei.
Nel 1947 il marito morì durante un'azione militare nella Guerra Civile Cinese, argomento ampiamente trattato nel romanzo di cui sopra.
Risposatasi nel 1952 con Leon F. Comber, un ufficiale britannico di stanza in Malesia lavorò come medico presso un ospedale malese. Più tardi aprì una clinica a Singapore. Nel frattempo, la dottoressa eurasiatica aveva già iniziato a scrivere i suoi primi best sellers.
Dopo il divorzio da Leon Comber, Han Suyin sposò un colonnello indiano, Vincent Ratnaswamy (morto nel gennaio 2003).
Dopo altre due separazioni, l'autrice si è trasferita a Losanna, in Svizzera, dove vive attualmente.
Han Suyin parla correntemente sei lingue: l'hakka (il ceppo etnico cinese a cui appartiene la famiglia paterna); il mandarino (il cinese ufficiale); il cantonese (lingua prevalente della Cina del sud); il malese, il francese e l'inglese.
Pur conoscendo tutte quelle lingue, questa bravissima scrittrice cino-belga scrive prevalentemente in inglese, anche se alcuni suoi libri sono stati scritti in francese e cinese.
La sua produzione letteraria è suddivisa in tre categorie, separate per tematiche, denominate:
1) autobiografia/storia;
2) fiction (di cui fa parte questo romanzo);
3) saggi socio-politici e altri scritti-testimonianza (molti su Mao).

Nell'opera di Han Suyin il ruolo centrale è svolto sempre dai conflitti culturali e politici tra est e ovest, nella storia moderna. Ma viene esplorata anche la lotta per la liberazione del sud-est asiatico.
In molti dei suoi scritti, ambientati nel periodo coloniale dell'Asia dell'est, durante il XIX e XX secolo, i fatti reali sono brillantemente mescolati con la finzione.
FIN CHE VERRA' IL MATTINO è del 1982 e va, come abbiamo già visto, dal 1939 a ben oltre la Rivoluzione Culturale.
Nel romanzo l'autrice fornisce un'affascinante e dettagliata descrizione delle famiglie di razze miste; dei problemi psicologici connessi a questa razza a parte, tenuta volutamente fuori. In molti modi Han Suyin trae spunto dalla sua esperienza personale, essendo lei stessa mistosangue.
Le professioni dei due protagonisti, inoltre, servono a complicare la vicenda e assomigliano a quella che l'autrice e Ian Morrison vissero, seppure attribuite in modo inverso.
Ma la tematica più importante, che caratterizza la trama del romanzo è la spiegazione, più che esaustiva, dei misteriosi meccanismi psicologici, che hanno guidato perfino l'elite della classe intellettuale cinese ad accettare il comunismo come una parte di sé stessi, di alternativa patriottica altamente morale, al caos e alla corruzione prodotte dal regime nazional-socialista borghese di Chiang Kai-Shek.
(Fonti: la mia mente, la rete e il libro).

IL MIO GIUDIZIO
FIN CHE VERRA' IL MATTINO non è principalmente un romanzo d'amore: la storia di Yong e Stephanie è un pretesto per parlare e rendere noti certi fatti storici vissuti sulla propria pelle dalla scrittrice, che, altrimenti, in occidente non sarebbero noti. Per questo Han Suyin scrive principalmente in inglese e vive esiliata dalla Cina anche a causa della persecuzione politica, in quanto autrice di opere polemiche sull'operato di Mao e Chang Kai Shek.
Pur essendo scritto in modo scorrevole e discorsivo questo romanzo trae in inganno il lettore perchè, sotto l'apparente facilità di lettura, nasconde la denuncia di verità profonde e drammatiche sulla condizione cinese, che, ancora oggi, i governi succedutisi non hanno certo risolto. E Han Suyin, graziata dalla lontananza e dalla fama che la ricopre, ne approfitta abilmente e sapientemente per portarli tutti alla luce. Per questo non so se consigliare a tutti la lettura di questo romanzo come degli altri della scrittrice. Una cosa è però certa: per intraprendere la lettura dei romanzi di questa bravissima scrittrice cino-belga bisogna armarsi di una grande curiosità (che viene ampiamente gratificata) e un grande amore per la storia, soprattutto quella cinese del secolo scorso.

*****
Mi sembra di fare il minimo se ri-dedico questo post a te, caro Loris, come ho fatto la prima volta che lo pubblicai. Ora è come se tornasse a casa sua.

sabato 22 marzo 2008

FIGLI DI UN DIO MINORE (libro e film)

Alcuni di voi, cari amici bloggers, suppongo immaginino già il motivo per cui ho scelto di scrivere una recensione, in parallelo, tra libro e film, com'è mio solito fare, ormai, su FIGLI DI UN DIO MINORE, cioè la mia familiarità col mondo dei sordi. Mondo in cui ho lavorato, in un'apposita scuola, di cui ho già parlato in un precedente post.
E' anche noto, ormai, il significato del mio nick name usato in un sito di opinioni on line a cui sono iscritta da alcuni anni, ONDALIS, cioè il nome-segno usato dai sordi per chiamarmi e indicarmi (se non lo ricordate, è chiaramente descritto in SORDITA'). E, anche se attualmente, non lavoro più così da vicino con i sordi, sono sempre potenzialmente disposta a farlo.
Addentriamoci però nell'argomento che qui mi preme.
Ho visto questo film per la prima volta nel 1992, in compagnia di una vicina chiacchierona, presente anche durante la messa in onda di un altro bellissimo film del regista Annaud, L'Amante, ispirato al libro di Marguerite Duras. Per questo, come nel caso de L'Amante, non potetti gustarmi a pieno la bellezza e la profondità di un film come questo, avendo costantemente, nelle orecchie, il chiacchiericcio fastidioso che interrompeva, inopportunamente, la comprensione del film; per cui quando, pochi anni, fa ebbi l'occasione di rivederlo in TV per bene, ne approfittai e lo registrai.
Il film mi interessava maggiormente, in quel periodo, perché stavo frequentando il famoso corso di LIS (Lingua Italiana dei Segni), dove imparavo la lingua dei sordi italiani, visto che, ormai, ero entrata in sintonia con quel mondo e lo comprendevo sufficientemente al punto da essere in grado di cogliere qualche differenza tra la LIS e l'ASL (American Sign Language), la lingua dei segni americana usata nel film Figli di un Dio minore.

Il soggetto di questo FILM è tratto la una piéce teatrale di Mark Medoff, pubblicata anche in un libro (che ho recuperato su ebay), il quale autore ha pure collaborato alla stesura della sceneggiatura, con gli opportuni cambiamenti, forse pretesi dalla regista Randa Haines.
La trama non si discosta molto da quella di una love story a lieto fine, ma la genialità di questo soggetto, che però non ho mai visto rappresentato a teatro, ma che, sono convinta, renda meglio al cinema, sta nell'introdurre lo spettatore ignaro, in un mondo affascinante, quanto sconosciuto, presente nella realtà di ogni nazione, quello della sordità.
Inutile dire che l'America è, attualmente, lo stato portabandiera di questa categoria di disabilità, il meglio organizzato, sul cui territorio è presente l'unica università al mondo nata appositamente per i sordi, la Gallaudet University, dove, chi ha ottenuto dei meriti o una borsa di studio, viene inviato a fare uno stage che arricchirà il suo curriculum, meglio ancora se lo studente in questione sia sordo.
Ho conosciuto, infatti, diverse persone, tra cui anche colleghi di quella scuola menzionata prima, che erano stati premiati andando alla Gallaudet a fare dei corsi di perfezionamento.
La Gallaudet è aperta anche agli udenti adesso, ma devono essere tutti rigorosamente segnanti, a meno che non siano delle importanti personalità come il dottor Oliver Sacks, il quale, pur non conoscendo l'ASL, al momento della visita, fu invitato per svolgere delle ricerche riguardanti il suo campo di studi, la neurologia.
Nel LIBRO come nel FILM, il protagonista maschile, James Leeds, insegnante trentenne, accetta l'incarico in un istituto speciale per soli sordi.
Da lui si pretende che faccia parlare anche i ragazzi più difficili. E di studenti del genere, tutti appartenenti alla tarda adolescenza, James ne ha davvero tanti. Solo che costoro non sono solo sordi, sono anche indisponenti e provocatori. A lezione fanno tutto fuori che eseguire le consegne del nuovo insegnante. Si rifiutano, ad es., di parlare, si rifiutano di fargli capire se conoscano o meno la lettura labiale. Si radono perfino la barba in classe, tanto se ne infischiano.
Ma James è un osso duro e ha, a suo favore, un passato piuttosto difficile, costellato dalle esperienze più varie e più incredibili, per cui, grazie ai suoi metodi innovativi e non proprio ortodossi, riesce dove molti altri hanno fallito: far parlare gli studenti più riottosi. E' divertente vedere, infatti, le scene in cui James istruisce i suoi difficili allievi insegnando loro a dire parolacce e chiamare 'faccia di culo' il direttore, che, ovviamente, sentirà questa esclamazione a lui rivolta. O quando, giocando col pallone insieme a costoro, istruirà a dovere uno di questi insegnandogli a chiamarlo: 'faccia di merda', o si divertirà maggiormente nel momento in cui lo stesso ragazzo ha ampliato il proprio linguaggio vocale, aggiungendo al suo vocabolario un nuovo insulto diretto all'amato docente: 'coglione'.
James sarà talmente abile nel suo lavoro da riuscire perfino ad allestire uno spettacolo con tanto di musica e danze, durante cui, i suoi studenti balleranno e canteranno, mimando con le labbra, le parole per seguire le vibrazioni del ritmo che anche loro sentono.

Con Sarah è un'altra faccenda.
Sarah è lì da tanti anni. Ha, nel film, 25 anni (26 nel libro) e fa la donna di pulizie nella stessa scuola. Da subito mostra di essere un peperino, un caratterino poco malleabile e docile al tatto. James la nota, per la prima volta, durante il pranzo in mensa, mentre manda a quel paese il cuoco della scuola e, letteralmente, questa volta, all'aria le pentole pulite poste lì vicino.
Sarah Norman è una ragazza bellissima, ex allieva dell'istituto, tra i migliori allievi di tutti i tempi e con un quoziente intellettivo altissimo. Vive e lavora lì. Le piace il suo lavoro perché la fa sentire utile e indipendente dal mondo degli udenti.
Non vede sua madre da otto anni, né ha intenzione di rifarsi viva con lei.
Suo padre è andato via di casa quando lei aveva cinque anni, poco prima che entrasse in quell'istituto, lasciando sola la moglie e le due figlie, perché non riusciva ad accettare l'idea di essere padre di quella bambina diversa e imperfetta e il suo senso di impotenza, unito ad una incolmabile frustrazione, lo aveva portato al gesto estremo di abbandonare la famiglia.
Sarah, dopo vari tentativi di imparare a parlare emettendo, a detta di sua madre, "solo suoni orribili", rinuncia del tutto, chiudendosi in un duro e inscalfibile isolamento, per evitare di essere ferita ancora, da adulta.
Con James non è amore a prima vista. Tutt'altro. I due si scontreranno molte volte perchè lei non vuole cedere all'attrazione che sente nascere per quell'insolito insegnante, che vuole a tutti i costi far parlare ogni sordo di quell'istituto. Sarà dopo reiterati tentativi, da parte di James, che la ragazza cederà ai sentimenti e all'irresistibile vitalità di lui.
Conviventi dopo un po', Sarah lascerà il suo lavoro, ma, ben presto, pur sentendosi appagata dalla nuova vita che conduce, sentirà l'esigenza di voler dimostrare (a sé stessa e agli altri), che anche lei vale qualcosa, sia pure con la sua sordità. La giovane donna si renderà finalmente conto che, pur amando profondamente James, dipenderà sempre da lui, il quale sarà costretto a fare sempre da mediatore e interprete tra lei e il mondo degli udenti, tagliandola nettamente fuori, anche se in un modo più in sordina. E' la crisi.
Dopo un party tra molti sordi e pochi udenti, dove è presente anche lui, scoppia una lite tra la coppia che, una volta a casa, indurrà James ad urlarle tutta la rabbia che porta dentro contro l'ostinata decisione di lei di non parlare.
Sarah aveva preso definitivamente questa decisione in seguito ad un'esperienza scioccante, avvenuta grazie alla sorella maggiore.
Da adolescente, durante le vacanze passate a casa fino ai 18 anni, per dimostrare agli amici della sorella che anche una ragazza sorda era capace di fare ciò che fa un'udente, e forse anche meglio, aveva accettato di sottomettersi ad un sordido gioco. Notando che quei ragazzi erano sensibili alla sua bellezza fisica, aveva accettato di avere rapporti con tutti loro, mentre sua sorella organizzava gli incontri, inviando nella sua stanza, uno alla volta, tutti gli amici che si preoccupavano solo di prendere ciò che volevano, senza neanche pensare di chiederle se volesse una coca-cola.
Durante la lite, Sarah proverà a parlare a James urlando il suo dolore e, di fronte allo sguardo orripilato di lui, scapperà via, lasciandolo solo.
Dopo svariati tentativi, da parte di lui, per rivederla e parlarle, per spiegarsi e chiarirsi, tutti caduti nel vuoto, una sera ci riuscirà e, finalmente, il lieto fine accontenterà tutti.

Credo che questa trasposizione cinematografica renda giustizia alla bellezza ed unicità del nobile soggetto affrontato da Medoff, così singolare, ma anche così inesplorato: il mondo della sordità, un mondo così affascinante, ma al contempo, così difficile da penetrare.

IL LIBRO
Diamo ora uno sguardo al libro, cioè il testo della pièce teatrale, di grande successo, dall'omonimo titolo, Children of a lesser God, scritta da Mark Medoff.
Leggere questo testo, dopo aver visto un film così ben fatto e cambiato in diversi punti, a dire il vero, è stata per me una delusione.
Pur essendo scritto bene e in maniera scorrevole, non rende giustizia alla profondità dei personaggi. Ecco perché ho maggiormente apprezzato l'eccezionale bravura di William Hurt, che, perfezionista come il collega De Niro, ha imparato, per l'occasione, la lingua dei segni americana (ASL), pur di girare quel film e rendere più credibile il suo personaggio.
Anche l'interpretazione di Marlee Matlin, l'attrice sorda che ha interpretato Sarah, è superlativa, perché, pur essendo abituata a lavorare per la cinematografia per soli audiolesi, ha reso perfettamente comprensibile al pubblico udente, non abituato a questo tipo di recitazione, il suo tormentato personaggio. Non per niente, questa sua prima interpretazione cinematografica le ha valso l'Oscar come miglior attrice protagonista nel 1986.
Questi due bravissimi attori, Hurt e Matlin, durante la lavorazione del film, parallelamente alla storia della sceneggiatura, intrecciarono una storia che sfociò in un matrimonio durato però soli quattro anni, rendendo, grazie a questo elemento, a mio parere, la loro interpretazione ancor più magistrale.
Certo, anche William Hurt era degno di un secondo Oscar (che aveva già ottenuto per la sua precedente interpretazione, Il bacio della donna Ragno), vista l'abilità- di certo non pregressa -, del suo segnare e parlare contemporaneamente, a beneficio della macchina da presa e del pubblico udente.
Ma se Hurt non fu ricompensato per il suo ruolo alquanto complesso, oltre ad esserlo la Matlin con l'Oscar, lo fu anche la regista statunitense Randa Haines, consolidatasi, prima di questo lungometraggio, in regie televisive di successo. Infatti, lo stesso anno della realizzazione di FIGLI DI UN DIO MINORE, vinse l'Orso d'oro al Festival del Cinema di Berlino.
La realizzazione del film, scrivevo prima, approfondisce meglio il contesto scenico rispetto al testo teatrale, pubblicato nel libro, che io considero piuttosto povero e poco appropriato.
Il tema della sordità non viene, inoltre, sviluppato da Medoff, ma solo sfiorato, appena abbozzato, mai veramente discusso. E', a mio avviso, tutto molto vago.
Ci sono poi, nel libro, dei personaggi chiave che nel film non esistono proprio (così come delle intere scene, create radicalmente ex novo dalla regista), tranne quello di Orin, appena abbozzato nella pellicola, mentre nel libro resta una figura piuttosto importante, poichè rappresenta colui che vuole convincere Sarah, in maniera subdola, a rompere con James, perché udente, tanto - è convinto -, è una storia che non può funzionare. Orin è un attivo difensore dei diritti dei sordi, pertanto cercherà di coinvolgere l'amica in qualsiasi modo. E sarà questa la goccia che farà traboccare il vaso, nel libro, perché renderà a Sarah evidenti i suoi sensi di inferiorità, mettendo in serio pericolo il menàge con James, divenuto ben presto suo marito, al contrario del film in cui i due convivono solamente.

CONSIDERAZIONI PERSONALI
Il merito, secondo il mio parere, va più alla regista, Randa Haines, che a Mark Medoff, pur drammaturgo di successo, oltre che direttore del Dipartimento di Teatro della New Mexico University, e autore del soggetto, perché con un tale film ben fatto e ben descrivente il mondo, i progressi e i regressi dei sordi, la Haines ha posto al centro dell'attenzione, una forma di disabilità, il deficit uditivo, molto poco considerato e conosciuto dal vasto pubblico. E, col trasformare in pellicola cinematografica la piéce teatrale di Medoff, la regista ha sottoposto anche un po' forzatamente, a mio avviso, all'attenzione del pubblico più distratto, il problema della sordità, che necessita ancora di tante attenzioni e approfondimenti, da parte dei cosiddetti individui normali udenti, per non parlare poi delle strutture e di chi ne è a capo.


La LINGUA DEI SEGNI usata da Marlee Matlin nel film, nata udente e divenuta sorda a 18 mesi, è la già nominata ASL. L'attrice conosce però anche il labiale. Era solo per esigenze di copione che nel film faceva credere di non essere capace di leggerlo.
Nel testo di Medoff, viene chiarito nell'introduzione, che Sarah usa l'ASL durante la recitazione, ma che esiste anche un'altra lingua dei segni, il SIGNED ENGLISH (l'Inglese Segnato). Entrambe queste forme di lingua dei segni esistono in tutte le lingue parlate. La differenza tra ASL e S.I., continua l'autore, sta nel fatto che l'ASL è molto più concettuale e descrittiva che grammaticale; mentre la S.I. utilizza una tecnica che segna parola per parola. In Italia la corrispondente si chiama Italiano Segnato Esatto, mentre la LIS è la corrispondente dell'ASL. Di ciò ho parlato ampiamente nell'apposita opinione riguardante la sordità e che invito a leggere, casomai ci fosse qualcuno che volesse approfondire l'argomento in maniera più adeguata.
Rimandandovi all'altra mia opinione e avendo esaurito ciò che avevo da dire, non mi resta che augurarvi buona lettura e buona visione a tutti.

SCHEDA DEL FILM
Titolo originale: Children of a lesser God, USA, 1986
Casa produttrice: Paramount Pictures
Durata: 114 minuti
Genere: drammatico per tutti
Regia: Randa Haines
Sceneggaiatura: Hesper Anderson e Mark Medoff
Attori principali: William Hurt, Marlee Matlin, Piper Laurie, Philip Bosco, ecc.

sabato 15 marzo 2008

SORDITA': CONOSCERLA E AMARLA

Già da diverso tempo volevo scrivere un post sulla sordità, che è stato anche mio campo di lavoro da quando insegno. In più, la scelta di scrivere qualcosa su questo argomento si è rafforzata leggendo un romanzo che lo affrontava. E per non scrivere sempre la solita recensione sull'ennesimo libro letto, sia pure di un tema così nobile, mi sono decisa a scriverla e pubblicarla anche in questo blog.


APPROCCI VERSO IL MONDO DELLA SORDITA’
Quanti di voi hanno a che fare da vicino con almeno un sordo tutti i giorni o spesso? Sicuramente molti. Chi perchè ha un caso in famiglia, chi un collega di lavoro, chi per lavoro si trova di fronte ad un cliente sordo...Sono tante le occasioni per incrociarli e noi udenti siamo in pochi a sforzarci di capirli: pretendiamo che siano loro ad uniformarsi a noi per integrarsi, imparando, con notevoli difficoltà, la lingua parlata.
Ma quanti di voi, lettori udenti, si sono sentiti attratti dal loro strano gesticolare per capire come funziona la simbologia del loro linguaggio? Sicuramente tanti, ma pochi hanno poi voluto approfondire. Io sono stata una di quei pochi, pur non avendo in famiglia nessun caso di sordità.
Quella strana gestualità mi aveva sempre affascinato, così veloce e pur così coerente e, qualche anno fa, sull'autobus, tornando a casa dal solito deprimente lavoro a tempo determinato, che svolgevo prima, mi è capitato di vedere da vicino bambini in età di scuola elementare (o primaria, come si deve dire adesso), insieme a donne adulte sorde e udenti che gesticolavano tra di loro.
Alcuni di questi bimbetti miravano a prendere il mio posto, avendo capito che ero quasi arrivata a destinazione, e quando glielo cedetti, dietro incitazione di un'adulta sorda, mi ringraziarono a voce.
Durante le vacanze, un mesetto o due dopo quest'incontro, Tiziana, la ragazza di un mio cugino, che lavorava come cassiera in un grosso ipermercato, in seguito al racconto della mia esperienza, mi disse che aveva insistito molto con i suoi capi affinchè organizzassero per l'azienda un corso base di lingua dei segni, perchè spesso capitavano lì clienti sordi, tra cui alcuni non parlanti o poco. Così Tiziana mi ragguagliò su alcuni segni imparati al corso e che ricordava maggiormente come SI, grazie, buon giorno, come ti chiami ecc.
C'è da aggiungere che il corso che questa mia futura cugina aveva seguito, non era stato tenuto da udenti segnanti (si chiamano così), bensì da insegnanti sordi e parlanti, i quali all'inizio avevano usato la voce poi, man mano non l'avevano più usata e per comunicare con i corsisti avevano usato solo i segni.
Intanto la mia curiosità era cresciuta e, una volta tornata a casa, mi informai subito all'ENS (Ente Nazionale Sordomuti) se erano in programma corsi di qualsiasi genere. Purtroppo in quel periodo non ce n'erano, né erano previsti a causa della mancanza di fondi. Stavano terminando quelli già attivi per chiudere e cominciare da capo.
Passarono 3 anni prima di poter accedere ad un qualsiasi corso base o avanzato.
Il primo che frequentai fu un corso amatoriale di 30 ore, tenuto da un giovane docente sordo al 100%. Solo durante la prima lezione ci fu l'ausilio dell'interprete.
In quel corso ci vennero spiegate tantissime cose che noi udenti diamo sempre per scontate.
Innanzi tutto le lezioni si svolgevano nel massimo silenzio e, man mano che si andava avanti, per comunicare o con l'insegnante o con un altro corsista, bisognava segnare.
Il loro linguaggio non è gestuale ma segnico-gestuale e si chiama Lingua Italiana dei Segni o LIS. I loro sono segni, non gesti, perchè sono simboli di qualcosa di più preciso e meno istintivo dei gesti, che indistintamente sordi o udenti facciamo. E si chiama lingua e non linguaggio, perchè ha una vera e propria struttura grammaticale, come una qualsiasi lingua, anche se più semplice della lingua orale.
Ogni paese ne ha una propria. I segni, contrariamente a quanto si crede, non sono universali, ma diversi in ogni stato così com'è diversa la lingua nazionale. Pensate che perfino da città a città di una stessa regione i segni usati per descrivere qualcosa possono cambiare, proprio come i dialetti; anche se negli ultimi tempi ci si è sforzati di unificare, per lo meno, in una lingua nazionale unica i segni principali, per dar modo anche ai sordi di seguire i media. Lo possiamo vedere, infatti, nei TG o in altri programmi coadiuvati dall'interprete udente e segnante nel riquadro più piccolo. Per fortuna adesso la tecnologia si è evoluta al punto da non isolare più persone con questi deficit; lo possiamo notare con i telefoni con videocamera o con i servizi ponte, il DTS ecc.


COME FANNO I SORDI A CHIAMARSI?
Per chiamarsi tra di loro i sordi, non potendo usare il nome di battesimo, usano il nome-segno.
Che cos'è? E' un segno come gli altri per indicare la persona di cui si sta parlando e a cui ci si rivolge. Di solito, viene preso in considerazione un simbolo che la riguarda come le iniziali del nome o la sua professione o, se il nome è quello di un fiore come Rosa o Margherita, allora si userà il segno del colore o quello che indica il fiore. Oppure può essere preso in considerazione un soprannome che si dà, se ad es. una persona è vivace, spiritosa ecc. si userà il segno che indica quella qualità che la descrive. Il mio nome-segno è infatti un ondeggiare della mano che parte dall'alto della testa e arriva fino alle spalle, dovuto ad una mia caratteristica: i capelli lunghi e ondulati. Anche il mio nick name di un sito a cui sono iscritta sta a significare questo: Onda (i capelli ondulati) + LIS (la conoscenza della Lis).

COM' ERA E COM' E' LA VITA DEI SORDI
Fino a poco tempo fa per i sordi esistevano solo i collegi, cioè le scuole con annessi il dormitorio e il refettorio. Questo perchè si dava modo alle famiglie, residenti in zone più lontane, di lasciare i figli sordi a studiare lì senza preoccuparsi di accompagnarli ogni giorno e, soprattutto, per dar loro un'istruzione.
Nel 1880 a Milano ci fu un congresso di portata internazionale che sancì la messa al bando delle lingue dei segni nazionali, a favore dell'oralismo. Da quel momento in poi in questi istituti per sordi, fino a pochi decenni fa (forse 20-30) era proibito segnare. I bambini sordi dovevano imparare solo la lingua orale a discapito dei segni, che però non scomparvero mai, anzi! Di nascosto i bambini, pur parlanti, usavano lo stesso i segni, che trasmisero anche a coloro che essendo nati da genitori udenti non avevano familiarità con essi. Ma nonostante ciò, ancora attualmente, qualche sordo adulto tra i 40-50 anni, ospite a suo tempo di uno di questi istituti, non è segnante, ma parla solamente e per apprendere ciò che gli interlocutori vogliono comunicargli deve usare la lettura labiale non sempre facile e comprensibile, oltre che stancante per la vista.
Questi collegi adesso sono stati ridimensionati a scuole aperte prima di tutto ai sordi, ma anche a udenti (facoltosi, perché rimaste private). Si è finalmente capita l'importanza dell'uso dei segni che sono tornati ad essere usati apertamente, perfino assumendo delle figure di riferimento come gli educatori sordi veri e propri, che spesso sono stati essi stessi alunni delle scuole dove lavorano da adulti.
Attualmente si sprona al bilinguismo, cioè la conoscenza della Lis e della lingua parlata.
La comunicazione usata nelle scuole è, principalmente, l' ISE, Italiano Segnato Esatto, utilissimo ai bambini per imparare l'italiano.
Io ho lavorato in uno di questi istituti speciali, il quale prima era un collegio per sole bambine sorde, che spesso restavano anche a vivere lì (ce ne sono ancora alcune anziane, parlanti e non segnanti).Ora questo istituto è una scuola privata retta da un ordine religioso, come tutti quelli di questo settore sono sempre stati, che dà la precedenza di iscrizione ai sordi, ma è aperto anche agli udenti.
Il mio compito di educatrice (visti i corsi avanzati di LIS fatti all'ENS dopo quello amatoriale, ma non da interprete) è stato poco proficuo in quell’istituto perchè ho usato poco la LIS, in quanto ho fatto da sostegno e da jolly, in tutti e tre i gradi scolastici, mentre ora svolgo, prevalentemente, il lavoro d’insegnante nelle scuole statali. Ma questa è tutta un'altra storia.

Prima di chiudere la stesura di questo post, volevo segnalarvi un paio di libri di piacevole lettura sul mondo dei sordi: 1) IL SILENZIO INTORNO di Frances Itani e 2) VEDERE VOCI di Oliver Sacks, l'autore di Risvegli.

1) IL SILENZIO INTORNO - Il primo di questi due libri è un romanzo ambientato in Canada ai primi del 900. La protagonista Grania, nata udente, per una febbre di scarlattina, a 5 anni resta sorda, ma grazie al costante sostegno della nonna e della sorella maggiore, che la incoraggiano sempre a non arrendersi , riesce a non temere il mondo esterno e a reimparare a parlare e a leggere il labiale.
A 9 anni, pur avendo frequentato un anno di scuola per udenti insieme alla sorella, viene iscritta finalmente all'istituto per sordi normodotati dove resterà per altri 9-10 anni e dove imparerà la lingua dei segni, che in quell'istituto non era proibita.
Anni dopo, Grania, rimasta a lavorare per l'ospedale della scuola, incontrerà un bellissimo ragazzo udente, Jim, aiutante medico, il quale dopo esser diventato suo marito, andrà via per alcuni anni a combattere durante la prima guerra mondiale.
Il romanzo è a lieto fine, ma pur avendo una trama originale e insolita, è piuttosto spento nei toni ed è raccontato in modo distaccato e poco partecipe. I personaggi, soprattutto quello di Grania, la protagonista, non hanno quello spessore necessario a rendere il libro memorabile. Infatti, secondo me, dopo averlo letto, non lascia traccia, se non per il fatto che tratta di un argomento a me familiare. E' comunque un romanzo leggero e ideale per avvicinarsi e capire il mondo dei sordi.
L'edizione originale rilegata è del 2004, edita da Frassinelli, p. 369; esiste però anche un'altra edizione (economica)uscita per la Sperling Paperbacks, sempre con 369 pag. Entrambe sono trovabili in libreria o in internet o nei club librari come Mondolibri.

2) VEDERE VOCI - Il secondo libro è del dottor Oliver Sacks, autore del famoso Risvegli, da cui fu tratto l'omonimo e bellissimo film con Robert De Niro e Robin Williams, è un saggio del 1999 edito da Adelphi di pag. 256 in brossura, trovabile tranquillamente sia in libreria che in internet.
Da buon medico, ricercatore e curioso delle novità, Sacks narra qui la sua esperienza personale trascorsa nell'unica università al mondo per soli sordi, la Gallaudet University, frequentata pure da udenti, tutti però rigorosamente segnanti.
Vedere voci è scritto in maniera piacevole e accessibile anche a chi non ha molta dimestichezza con i termini medici e specifici, visto il nutrito apparato di note.
Quando Sacks andò, dietro invito, in questa famosa università non conosceva la lingua dei segni americana, l'AOL (la più diffusa e usata tra sordi di diverse nazioni), e, da buon neurologo, si meravigliò molto dell'acutissima capacità visiva che sviluppano i sordi, per vivere e comunicare tra loro e costituire una comunità.
La sua è un'indagine che tocca i problemi fondamentali del rapporto tra parola, immagine e cervello.
E' superfluo dire che è un libro unico e che consiglio caldamente di leggere.
Per chi volesse andare ancora avanti con l'argomento e approfondire lo può fare con la lettura dell'esperienza diretta di una vera sorda, narrata ne IL GRIDO DEL GABBIANO di Emanuelle Laborit, nipote del più famoso ricercatore.
Emanuelle, nata sorda, ha visto spalancarsi le braccia del mondo imparando la lingua dei segni francese nell'istituto che frequentò.
Non ricordo per quale casa editrice è uscito qui in Italia, però è facilissimo trovarlo perchè è uno dei libri più pubblicati negli ultimi anni.
In più, se avete la possibilità, tanto per vedere con gli occhi il mondo e la dimensione dei sordi, vi ricordo che c'è sempre lo splendido film, ambientato in un college americano Figli di un Dio minore, del 1989, la cui protagonista Marlee Matlin è proprio sordomuta e grazie a questa interpretazione vinse l'oscar come miglior attrice protagonista.
Bene, mi sembra di aver detto tutto o quasi sul mondo dei sordi e la loro affascinante lingua. Ho trascurato, certamente i dettagli più tecnici e specifici, ma spero di essere stata sufficientemente chiara.
Alla prossima.