Alcuni di voi, cari amici bloggers, suppongo immaginino già il motivo per cui ho scelto di scrivere una recensione, in parallelo, tra libro e film, com'è mio solito fare, ormai, su FIGLI DI UN DIO MINORE, cioè la mia familiarità col mondo dei sordi. Mondo in cui ho lavorato, in un'apposita scuola, di cui ho già parlato in un precedente post.
E' anche noto, ormai, il significato del mio nick name usato in un sito di opinioni on line a cui sono iscritta da alcuni anni, ONDALIS, cioè il nome-segno usato dai sordi per chiamarmi e indicarmi (se non lo ricordate, è chiaramente descritto in SORDITA'). E, anche se attualmente, non lavoro più così da vicino con i sordi, sono sempre potenzialmente disposta a farlo.
Addentriamoci però nell'argomento che qui mi preme.
Ho visto questo film per la prima volta nel 1992, in compagnia di una vicina chiacchierona, presente anche durante la messa in onda di un altro bellissimo film del regista Annaud, L'Amante, ispirato al libro di Marguerite Duras. Per questo, come nel caso de L'Amante, non potetti gustarmi a pieno la bellezza e la profondità di un film come questo, avendo costantemente, nelle orecchie, il chiacchiericcio fastidioso che interrompeva, inopportunamente, la comprensione del film; per cui quando, pochi anni, fa ebbi l'occasione di rivederlo in TV per bene, ne approfittai e lo registrai.
Il film mi interessava maggiormente, in quel periodo, perché stavo frequentando il famoso corso di LIS (Lingua Italiana dei Segni), dove imparavo la lingua dei sordi italiani, visto che, ormai, ero entrata in sintonia con quel mondo e lo comprendevo sufficientemente al punto da essere in grado di cogliere qualche differenza tra la LIS e l'ASL (American Sign Language), la lingua dei segni americana usata nel film Figli di un Dio minore.
Il soggetto di questo FILM è tratto la una piéce teatrale di Mark Medoff, pubblicata anche in un libro (che ho recuperato su ebay), il quale autore ha pure collaborato alla stesura della sceneggiatura, con gli opportuni cambiamenti, forse pretesi dalla regista Randa Haines.
La trama non si discosta molto da quella di una love story a lieto fine, ma la genialità di questo soggetto, che però non ho mai visto rappresentato a teatro, ma che, sono convinta, renda meglio al cinema, sta nell'introdurre lo spettatore ignaro, in un mondo affascinante, quanto sconosciuto, presente nella realtà di ogni nazione, quello della sordità.
Inutile dire che l'America è, attualmente, lo stato portabandiera di questa categoria di disabilità, il meglio organizzato, sul cui territorio è presente l'unica università al mondo nata appositamente per i sordi, la Gallaudet University, dove, chi ha ottenuto dei meriti o una borsa di studio, viene inviato a fare uno stage che arricchirà il suo curriculum, meglio ancora se lo studente in questione sia sordo.
Ho conosciuto, infatti, diverse persone, tra cui anche colleghi di quella scuola menzionata prima, che erano stati premiati andando alla Gallaudet a fare dei corsi di perfezionamento.
La Gallaudet è aperta anche agli udenti adesso, ma devono essere tutti rigorosamente segnanti, a meno che non siano delle importanti personalità come il dottor Oliver Sacks, il quale, pur non conoscendo l'ASL, al momento della visita, fu invitato per svolgere delle ricerche riguardanti il suo campo di studi, la neurologia.
Nel LIBRO come nel FILM, il protagonista maschile, James Leeds, insegnante trentenne, accetta l'incarico in un istituto speciale per soli sordi.
Da lui si pretende che faccia parlare anche i ragazzi più difficili. E di studenti del genere, tutti appartenenti alla tarda adolescenza, James ne ha davvero tanti. Solo che costoro non sono solo sordi, sono anche indisponenti e provocatori. A lezione fanno tutto fuori che eseguire le consegne del nuovo insegnante. Si rifiutano, ad es., di parlare, si rifiutano di fargli capire se conoscano o meno la lettura labiale. Si radono perfino la barba in classe, tanto se ne infischiano.
Ma James è un osso duro e ha, a suo favore, un passato piuttosto difficile, costellato dalle esperienze più varie e più incredibili, per cui, grazie ai suoi metodi innovativi e non proprio ortodossi, riesce dove molti altri hanno fallito: far parlare gli studenti più riottosi. E' divertente vedere, infatti, le scene in cui James istruisce i suoi difficili allievi insegnando loro a dire parolacce e chiamare 'faccia di culo' il direttore, che, ovviamente, sentirà questa esclamazione a lui rivolta. O quando, giocando col pallone insieme a costoro, istruirà a dovere uno di questi insegnandogli a chiamarlo: 'faccia di merda', o si divertirà maggiormente nel momento in cui lo stesso ragazzo ha ampliato il proprio linguaggio vocale, aggiungendo al suo vocabolario un nuovo insulto diretto all'amato docente: 'coglione'.
James sarà talmente abile nel suo lavoro da riuscire perfino ad allestire uno spettacolo con tanto di musica e danze, durante cui, i suoi studenti balleranno e canteranno, mimando con le labbra, le parole per seguire le vibrazioni del ritmo che anche loro sentono.
Con Sarah è un'altra faccenda.
Sarah è lì da tanti anni. Ha, nel film, 25 anni (26 nel libro) e fa la donna di pulizie nella stessa scuola. Da subito mostra di essere un peperino, un caratterino poco malleabile e docile al tatto. James la nota, per la prima volta, durante il pranzo in mensa, mentre manda a quel paese il cuoco della scuola e, letteralmente, questa volta, all'aria le pentole pulite poste lì vicino.
Sarah Norman è una ragazza bellissima, ex allieva dell'istituto, tra i migliori allievi di tutti i tempi e con un quoziente intellettivo altissimo. Vive e lavora lì. Le piace il suo lavoro perché la fa sentire utile e indipendente dal mondo degli udenti.
Non vede sua madre da otto anni, né ha intenzione di rifarsi viva con lei.
Suo padre è andato via di casa quando lei aveva cinque anni, poco prima che entrasse in quell'istituto, lasciando sola la moglie e le due figlie, perché non riusciva ad accettare l'idea di essere padre di quella bambina diversa e imperfetta e il suo senso di impotenza, unito ad una incolmabile frustrazione, lo aveva portato al gesto estremo di abbandonare la famiglia.
Sarah, dopo vari tentativi di imparare a parlare emettendo, a detta di sua madre, "solo suoni orribili", rinuncia del tutto, chiudendosi in un duro e inscalfibile isolamento, per evitare di essere ferita ancora, da adulta.
Con James non è amore a prima vista. Tutt'altro. I due si scontreranno molte volte perchè lei non vuole cedere all'attrazione che sente nascere per quell'insolito insegnante, che vuole a tutti i costi far parlare ogni sordo di quell'istituto. Sarà dopo reiterati tentativi, da parte di James, che la ragazza cederà ai sentimenti e all'irresistibile vitalità di lui.
Conviventi dopo un po', Sarah lascerà il suo lavoro, ma, ben presto, pur sentendosi appagata dalla nuova vita che conduce, sentirà l'esigenza di voler dimostrare (a sé stessa e agli altri), che anche lei vale qualcosa, sia pure con la sua sordità. La giovane donna si renderà finalmente conto che, pur amando profondamente James, dipenderà sempre da lui, il quale sarà costretto a fare sempre da mediatore e interprete tra lei e il mondo degli udenti, tagliandola nettamente fuori, anche se in un modo più in sordina. E' la crisi.
Dopo un party tra molti sordi e pochi udenti, dove è presente anche lui, scoppia una lite tra la coppia che, una volta a casa, indurrà James ad urlarle tutta la rabbia che porta dentro contro l'ostinata decisione di lei di non parlare.
Sarah aveva preso definitivamente questa decisione in seguito ad un'esperienza scioccante, avvenuta grazie alla sorella maggiore.
Da adolescente, durante le vacanze passate a casa fino ai 18 anni, per dimostrare agli amici della sorella che anche una ragazza sorda era capace di fare ciò che fa un'udente, e forse anche meglio, aveva accettato di sottomettersi ad un sordido gioco. Notando che quei ragazzi erano sensibili alla sua bellezza fisica, aveva accettato di avere rapporti con tutti loro, mentre sua sorella organizzava gli incontri, inviando nella sua stanza, uno alla volta, tutti gli amici che si preoccupavano solo di prendere ciò che volevano, senza neanche pensare di chiederle se volesse una coca-cola.
Durante la lite, Sarah proverà a parlare a James urlando il suo dolore e, di fronte allo sguardo orripilato di lui, scapperà via, lasciandolo solo.
Dopo svariati tentativi, da parte di lui, per rivederla e parlarle, per spiegarsi e chiarirsi, tutti caduti nel vuoto, una sera ci riuscirà e, finalmente, il lieto fine accontenterà tutti.
Credo che questa trasposizione cinematografica renda giustizia alla bellezza ed unicità del nobile soggetto affrontato da Medoff, così singolare, ma anche così inesplorato: il mondo della sordità, un mondo così affascinante, ma al contempo, così difficile da penetrare.
IL LIBRO
Diamo ora uno sguardo al libro, cioè il testo della pièce teatrale, di grande successo, dall'omonimo titolo, Children of a lesser God, scritta da Mark Medoff.
Leggere questo testo, dopo aver visto un film così ben fatto e cambiato in diversi punti, a dire il vero, è stata per me una delusione.
Pur essendo scritto bene e in maniera scorrevole, non rende giustizia alla profondità dei personaggi. Ecco perché ho maggiormente apprezzato l'eccezionale bravura di William Hurt, che, perfezionista come il collega De Niro, ha imparato, per l'occasione, la lingua dei segni americana (ASL), pur di girare quel film e rendere più credibile il suo personaggio.
Anche l'interpretazione di Marlee Matlin, l'attrice sorda che ha interpretato Sarah, è superlativa, perché, pur essendo abituata a lavorare per la cinematografia per soli audiolesi, ha reso perfettamente comprensibile al pubblico udente, non abituato a questo tipo di recitazione, il suo tormentato personaggio. Non per niente, questa sua prima interpretazione cinematografica le ha valso l'Oscar come miglior attrice protagonista nel 1986.
Questi due bravissimi attori, Hurt e Matlin, durante la lavorazione del film, parallelamente alla storia della sceneggiatura, intrecciarono una storia che sfociò in un matrimonio durato però soli quattro anni, rendendo, grazie a questo elemento, a mio parere, la loro interpretazione ancor più magistrale.
Certo, anche William Hurt era degno di un secondo Oscar (che aveva già ottenuto per la sua precedente interpretazione, Il bacio della donna Ragno), vista l'abilità- di certo non pregressa -, del suo segnare e parlare contemporaneamente, a beneficio della macchina da presa e del pubblico udente.
Ma se Hurt non fu ricompensato per il suo ruolo alquanto complesso, oltre ad esserlo la Matlin con l'Oscar, lo fu anche la regista statunitense Randa Haines, consolidatasi, prima di questo lungometraggio, in regie televisive di successo. Infatti, lo stesso anno della realizzazione di FIGLI DI UN DIO MINORE, vinse l'Orso d'oro al Festival del Cinema di Berlino.
La realizzazione del film, scrivevo prima, approfondisce meglio il contesto scenico rispetto al testo teatrale, pubblicato nel libro, che io considero piuttosto povero e poco appropriato.
Il tema della sordità non viene, inoltre, sviluppato da Medoff, ma solo sfiorato, appena abbozzato, mai veramente discusso. E', a mio avviso, tutto molto vago.
Ci sono poi, nel libro, dei personaggi chiave che nel film non esistono proprio (così come delle intere scene, create radicalmente ex novo dalla regista), tranne quello di Orin, appena abbozzato nella pellicola, mentre nel libro resta una figura piuttosto importante, poichè rappresenta colui che vuole convincere Sarah, in maniera subdola, a rompere con James, perché udente, tanto - è convinto -, è una storia che non può funzionare. Orin è un attivo difensore dei diritti dei sordi, pertanto cercherà di coinvolgere l'amica in qualsiasi modo. E sarà questa la goccia che farà traboccare il vaso, nel libro, perché renderà a Sarah evidenti i suoi sensi di inferiorità, mettendo in serio pericolo il menàge con James, divenuto ben presto suo marito, al contrario del film in cui i due convivono solamente.
CONSIDERAZIONI PERSONALI
Il merito, secondo il mio parere, va più alla regista, Randa Haines, che a Mark Medoff, pur drammaturgo di successo, oltre che direttore del Dipartimento di Teatro della New Mexico University, e autore del soggetto, perché con un tale film ben fatto e ben descrivente il mondo, i progressi e i regressi dei sordi, la Haines ha posto al centro dell'attenzione, una forma di disabilità, il deficit uditivo, molto poco considerato e conosciuto dal vasto pubblico. E, col trasformare in pellicola cinematografica la piéce teatrale di Medoff, la regista ha sottoposto anche un po' forzatamente, a mio avviso, all'attenzione del pubblico più distratto, il problema della sordità, che necessita ancora di tante attenzioni e approfondimenti, da parte dei cosiddetti individui normali udenti, per non parlare poi delle strutture e di chi ne è a capo.
La LINGUA DEI SEGNI usata da Marlee Matlin nel film, nata udente e divenuta sorda a 18 mesi, è la già nominata ASL. L'attrice conosce però anche il labiale. Era solo per esigenze di copione che nel film faceva credere di non essere capace di leggerlo.
Nel testo di Medoff, viene chiarito nell'introduzione, che Sarah usa l'ASL durante la recitazione, ma che esiste anche un'altra lingua dei segni, il SIGNED ENGLISH (l'Inglese Segnato). Entrambe queste forme di lingua dei segni esistono in tutte le lingue parlate. La differenza tra ASL e S.I., continua l'autore, sta nel fatto che l'ASL è molto più concettuale e descrittiva che grammaticale; mentre la S.I. utilizza una tecnica che segna parola per parola. In Italia la corrispondente si chiama Italiano Segnato Esatto, mentre la LIS è la corrispondente dell'ASL. Di ciò ho parlato ampiamente nell'apposita opinione riguardante la sordità e che invito a leggere, casomai ci fosse qualcuno che volesse approfondire l'argomento in maniera più adeguata.
Rimandandovi all'altra mia opinione e avendo esaurito ciò che avevo da dire, non mi resta che augurarvi buona lettura e buona visione a tutti.
SCHEDA DEL FILM
Titolo originale: Children of a lesser God, USA, 1986
Casa produttrice: Paramount Pictures
Durata: 114 minuti
Genere: drammatico per tutti
Regia: Randa Haines
Sceneggaiatura: Hesper Anderson e Mark Medoff
Attori principali: William Hurt, Marlee Matlin, Piper Laurie, Philip Bosco, ecc.
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sabato 22 marzo 2008
sabato 15 marzo 2008
SORDITA': CONOSCERLA E AMARLA
Già da diverso tempo volevo scrivere un post sulla sordità, che è stato anche mio campo di lavoro da quando insegno. In più, la scelta di scrivere qualcosa su questo argomento si è rafforzata leggendo un romanzo che lo affrontava. E per non scrivere sempre la solita recensione sull'ennesimo libro letto, sia pure di un tema così nobile, mi sono decisa a scriverla e pubblicarla anche in questo blog.
APPROCCI VERSO IL MONDO DELLA SORDITA’
Quanti di voi hanno a che fare da vicino con almeno un sordo tutti i giorni o spesso? Sicuramente molti. Chi perchè ha un caso in famiglia, chi un collega di lavoro, chi per lavoro si trova di fronte ad un cliente sordo...Sono tante le occasioni per incrociarli e noi udenti siamo in pochi a sforzarci di capirli: pretendiamo che siano loro ad uniformarsi a noi per integrarsi, imparando, con notevoli difficoltà, la lingua parlata.
Ma quanti di voi, lettori udenti, si sono sentiti attratti dal loro strano gesticolare per capire come funziona la simbologia del loro linguaggio? Sicuramente tanti, ma pochi hanno poi voluto approfondire. Io sono stata una di quei pochi, pur non avendo in famiglia nessun caso di sordità.
Quella strana gestualità mi aveva sempre affascinato, così veloce e pur così coerente e, qualche anno fa, sull'autobus, tornando a casa dal solito deprimente lavoro a tempo determinato, che svolgevo prima, mi è capitato di vedere da vicino bambini in età di scuola elementare (o primaria, come si deve dire adesso), insieme a donne adulte sorde e udenti che gesticolavano tra di loro.
Alcuni di questi bimbetti miravano a prendere il mio posto, avendo capito che ero quasi arrivata a destinazione, e quando glielo cedetti, dietro incitazione di un'adulta sorda, mi ringraziarono a voce.
Durante le vacanze, un mesetto o due dopo quest'incontro, Tiziana, la ragazza di un mio cugino, che lavorava come cassiera in un grosso ipermercato, in seguito al racconto della mia esperienza, mi disse che aveva insistito molto con i suoi capi affinchè organizzassero per l'azienda un corso base di lingua dei segni, perchè spesso capitavano lì clienti sordi, tra cui alcuni non parlanti o poco. Così Tiziana mi ragguagliò su alcuni segni imparati al corso e che ricordava maggiormente come SI, grazie, buon giorno, come ti chiami ecc.
C'è da aggiungere che il corso che questa mia futura cugina aveva seguito, non era stato tenuto da udenti segnanti (si chiamano così), bensì da insegnanti sordi e parlanti, i quali all'inizio avevano usato la voce poi, man mano non l'avevano più usata e per comunicare con i corsisti avevano usato solo i segni.
Intanto la mia curiosità era cresciuta e, una volta tornata a casa, mi informai subito all'ENS (Ente Nazionale Sordomuti) se erano in programma corsi di qualsiasi genere. Purtroppo in quel periodo non ce n'erano, né erano previsti a causa della mancanza di fondi. Stavano terminando quelli già attivi per chiudere e cominciare da capo.
Passarono 3 anni prima di poter accedere ad un qualsiasi corso base o avanzato.
Il primo che frequentai fu un corso amatoriale di 30 ore, tenuto da un giovane docente sordo al 100%. Solo durante la prima lezione ci fu l'ausilio dell'interprete.
In quel corso ci vennero spiegate tantissime cose che noi udenti diamo sempre per scontate.
Innanzi tutto le lezioni si svolgevano nel massimo silenzio e, man mano che si andava avanti, per comunicare o con l'insegnante o con un altro corsista, bisognava segnare.
Il loro linguaggio non è gestuale ma segnico-gestuale e si chiama Lingua Italiana dei Segni o LIS. I loro sono segni, non gesti, perchè sono simboli di qualcosa di più preciso e meno istintivo dei gesti, che indistintamente sordi o udenti facciamo. E si chiama lingua e non linguaggio, perchè ha una vera e propria struttura grammaticale, come una qualsiasi lingua, anche se più semplice della lingua orale.
Ogni paese ne ha una propria. I segni, contrariamente a quanto si crede, non sono universali, ma diversi in ogni stato così com'è diversa la lingua nazionale. Pensate che perfino da città a città di una stessa regione i segni usati per descrivere qualcosa possono cambiare, proprio come i dialetti; anche se negli ultimi tempi ci si è sforzati di unificare, per lo meno, in una lingua nazionale unica i segni principali, per dar modo anche ai sordi di seguire i media. Lo possiamo vedere, infatti, nei TG o in altri programmi coadiuvati dall'interprete udente e segnante nel riquadro più piccolo. Per fortuna adesso la tecnologia si è evoluta al punto da non isolare più persone con questi deficit; lo possiamo notare con i telefoni con videocamera o con i servizi ponte, il DTS ecc.
APPROCCI VERSO IL MONDO DELLA SORDITA’
Quanti di voi hanno a che fare da vicino con almeno un sordo tutti i giorni o spesso? Sicuramente molti. Chi perchè ha un caso in famiglia, chi un collega di lavoro, chi per lavoro si trova di fronte ad un cliente sordo...Sono tante le occasioni per incrociarli e noi udenti siamo in pochi a sforzarci di capirli: pretendiamo che siano loro ad uniformarsi a noi per integrarsi, imparando, con notevoli difficoltà, la lingua parlata.
Ma quanti di voi, lettori udenti, si sono sentiti attratti dal loro strano gesticolare per capire come funziona la simbologia del loro linguaggio? Sicuramente tanti, ma pochi hanno poi voluto approfondire. Io sono stata una di quei pochi, pur non avendo in famiglia nessun caso di sordità.
Quella strana gestualità mi aveva sempre affascinato, così veloce e pur così coerente e, qualche anno fa, sull'autobus, tornando a casa dal solito deprimente lavoro a tempo determinato, che svolgevo prima, mi è capitato di vedere da vicino bambini in età di scuola elementare (o primaria, come si deve dire adesso), insieme a donne adulte sorde e udenti che gesticolavano tra di loro.
Alcuni di questi bimbetti miravano a prendere il mio posto, avendo capito che ero quasi arrivata a destinazione, e quando glielo cedetti, dietro incitazione di un'adulta sorda, mi ringraziarono a voce.
Durante le vacanze, un mesetto o due dopo quest'incontro, Tiziana, la ragazza di un mio cugino, che lavorava come cassiera in un grosso ipermercato, in seguito al racconto della mia esperienza, mi disse che aveva insistito molto con i suoi capi affinchè organizzassero per l'azienda un corso base di lingua dei segni, perchè spesso capitavano lì clienti sordi, tra cui alcuni non parlanti o poco. Così Tiziana mi ragguagliò su alcuni segni imparati al corso e che ricordava maggiormente come SI, grazie, buon giorno, come ti chiami ecc.
C'è da aggiungere che il corso che questa mia futura cugina aveva seguito, non era stato tenuto da udenti segnanti (si chiamano così), bensì da insegnanti sordi e parlanti, i quali all'inizio avevano usato la voce poi, man mano non l'avevano più usata e per comunicare con i corsisti avevano usato solo i segni.
Intanto la mia curiosità era cresciuta e, una volta tornata a casa, mi informai subito all'ENS (Ente Nazionale Sordomuti) se erano in programma corsi di qualsiasi genere. Purtroppo in quel periodo non ce n'erano, né erano previsti a causa della mancanza di fondi. Stavano terminando quelli già attivi per chiudere e cominciare da capo.
Passarono 3 anni prima di poter accedere ad un qualsiasi corso base o avanzato.
Il primo che frequentai fu un corso amatoriale di 30 ore, tenuto da un giovane docente sordo al 100%. Solo durante la prima lezione ci fu l'ausilio dell'interprete.
In quel corso ci vennero spiegate tantissime cose che noi udenti diamo sempre per scontate.
Innanzi tutto le lezioni si svolgevano nel massimo silenzio e, man mano che si andava avanti, per comunicare o con l'insegnante o con un altro corsista, bisognava segnare.
Il loro linguaggio non è gestuale ma segnico-gestuale e si chiama Lingua Italiana dei Segni o LIS. I loro sono segni, non gesti, perchè sono simboli di qualcosa di più preciso e meno istintivo dei gesti, che indistintamente sordi o udenti facciamo. E si chiama lingua e non linguaggio, perchè ha una vera e propria struttura grammaticale, come una qualsiasi lingua, anche se più semplice della lingua orale.
Ogni paese ne ha una propria. I segni, contrariamente a quanto si crede, non sono universali, ma diversi in ogni stato così com'è diversa la lingua nazionale. Pensate che perfino da città a città di una stessa regione i segni usati per descrivere qualcosa possono cambiare, proprio come i dialetti; anche se negli ultimi tempi ci si è sforzati di unificare, per lo meno, in una lingua nazionale unica i segni principali, per dar modo anche ai sordi di seguire i media. Lo possiamo vedere, infatti, nei TG o in altri programmi coadiuvati dall'interprete udente e segnante nel riquadro più piccolo. Per fortuna adesso la tecnologia si è evoluta al punto da non isolare più persone con questi deficit; lo possiamo notare con i telefoni con videocamera o con i servizi ponte, il DTS ecc.
COME FANNO I SORDI A CHIAMARSI?
Per chiamarsi tra di loro i sordi, non potendo usare il nome di battesimo, usano il nome-segno.
Che cos'è? E' un segno come gli altri per indicare la persona di cui si sta parlando e a cui ci si rivolge. Di solito, viene preso in considerazione un simbolo che la riguarda come le iniziali del nome o la sua professione o, se il nome è quello di un fiore come Rosa o Margherita, allora si userà il segno del colore o quello che indica il fiore. Oppure può essere preso in considerazione un soprannome che si dà, se ad es. una persona è vivace, spiritosa ecc. si userà il segno che indica quella qualità che la descrive. Il mio nome-segno è infatti un ondeggiare della mano che parte dall'alto della testa e arriva fino alle spalle, dovuto ad una mia caratteristica: i capelli lunghi e ondulati. Anche il mio nick name di un sito a cui sono iscritta sta a significare questo: Onda (i capelli ondulati) + LIS (la conoscenza della Lis).
Per chiamarsi tra di loro i sordi, non potendo usare il nome di battesimo, usano il nome-segno.
Che cos'è? E' un segno come gli altri per indicare la persona di cui si sta parlando e a cui ci si rivolge. Di solito, viene preso in considerazione un simbolo che la riguarda come le iniziali del nome o la sua professione o, se il nome è quello di un fiore come Rosa o Margherita, allora si userà il segno del colore o quello che indica il fiore. Oppure può essere preso in considerazione un soprannome che si dà, se ad es. una persona è vivace, spiritosa ecc. si userà il segno che indica quella qualità che la descrive. Il mio nome-segno è infatti un ondeggiare della mano che parte dall'alto della testa e arriva fino alle spalle, dovuto ad una mia caratteristica: i capelli lunghi e ondulati. Anche il mio nick name di un sito a cui sono iscritta sta a significare questo: Onda (i capelli ondulati) + LIS (la conoscenza della Lis).
COM' ERA E COM' E' LA VITA DEI SORDI
Fino a poco tempo fa per i sordi esistevano solo i collegi, cioè le scuole con annessi il dormitorio e il refettorio. Questo perchè si dava modo alle famiglie, residenti in zone più lontane, di lasciare i figli sordi a studiare lì senza preoccuparsi di accompagnarli ogni giorno e, soprattutto, per dar loro un'istruzione.
Nel 1880 a Milano ci fu un congresso di portata internazionale che sancì la messa al bando delle lingue dei segni nazionali, a favore dell'oralismo. Da quel momento in poi in questi istituti per sordi, fino a pochi decenni fa (forse 20-30) era proibito segnare. I bambini sordi dovevano imparare solo la lingua orale a discapito dei segni, che però non scomparvero mai, anzi! Di nascosto i bambini, pur parlanti, usavano lo stesso i segni, che trasmisero anche a coloro che essendo nati da genitori udenti non avevano familiarità con essi. Ma nonostante ciò, ancora attualmente, qualche sordo adulto tra i 40-50 anni, ospite a suo tempo di uno di questi istituti, non è segnante, ma parla solamente e per apprendere ciò che gli interlocutori vogliono comunicargli deve usare la lettura labiale non sempre facile e comprensibile, oltre che stancante per la vista.
Questi collegi adesso sono stati ridimensionati a scuole aperte prima di tutto ai sordi, ma anche a udenti (facoltosi, perché rimaste private). Si è finalmente capita l'importanza dell'uso dei segni che sono tornati ad essere usati apertamente, perfino assumendo delle figure di riferimento come gli educatori sordi veri e propri, che spesso sono stati essi stessi alunni delle scuole dove lavorano da adulti.
Attualmente si sprona al bilinguismo, cioè la conoscenza della Lis e della lingua parlata.
La comunicazione usata nelle scuole è, principalmente, l' ISE, Italiano Segnato Esatto, utilissimo ai bambini per imparare l'italiano.
Io ho lavorato in uno di questi istituti speciali, il quale prima era un collegio per sole bambine sorde, che spesso restavano anche a vivere lì (ce ne sono ancora alcune anziane, parlanti e non segnanti).Ora questo istituto è una scuola privata retta da un ordine religioso, come tutti quelli di questo settore sono sempre stati, che dà la precedenza di iscrizione ai sordi, ma è aperto anche agli udenti.
Il mio compito di educatrice (visti i corsi avanzati di LIS fatti all'ENS dopo quello amatoriale, ma non da interprete) è stato poco proficuo in quell’istituto perchè ho usato poco la LIS, in quanto ho fatto da sostegno e da jolly, in tutti e tre i gradi scolastici, mentre ora svolgo, prevalentemente, il lavoro d’insegnante nelle scuole statali. Ma questa è tutta un'altra storia.
Fino a poco tempo fa per i sordi esistevano solo i collegi, cioè le scuole con annessi il dormitorio e il refettorio. Questo perchè si dava modo alle famiglie, residenti in zone più lontane, di lasciare i figli sordi a studiare lì senza preoccuparsi di accompagnarli ogni giorno e, soprattutto, per dar loro un'istruzione.
Nel 1880 a Milano ci fu un congresso di portata internazionale che sancì la messa al bando delle lingue dei segni nazionali, a favore dell'oralismo. Da quel momento in poi in questi istituti per sordi, fino a pochi decenni fa (forse 20-30) era proibito segnare. I bambini sordi dovevano imparare solo la lingua orale a discapito dei segni, che però non scomparvero mai, anzi! Di nascosto i bambini, pur parlanti, usavano lo stesso i segni, che trasmisero anche a coloro che essendo nati da genitori udenti non avevano familiarità con essi. Ma nonostante ciò, ancora attualmente, qualche sordo adulto tra i 40-50 anni, ospite a suo tempo di uno di questi istituti, non è segnante, ma parla solamente e per apprendere ciò che gli interlocutori vogliono comunicargli deve usare la lettura labiale non sempre facile e comprensibile, oltre che stancante per la vista.
Questi collegi adesso sono stati ridimensionati a scuole aperte prima di tutto ai sordi, ma anche a udenti (facoltosi, perché rimaste private). Si è finalmente capita l'importanza dell'uso dei segni che sono tornati ad essere usati apertamente, perfino assumendo delle figure di riferimento come gli educatori sordi veri e propri, che spesso sono stati essi stessi alunni delle scuole dove lavorano da adulti.
Attualmente si sprona al bilinguismo, cioè la conoscenza della Lis e della lingua parlata.
La comunicazione usata nelle scuole è, principalmente, l' ISE, Italiano Segnato Esatto, utilissimo ai bambini per imparare l'italiano.
Io ho lavorato in uno di questi istituti speciali, il quale prima era un collegio per sole bambine sorde, che spesso restavano anche a vivere lì (ce ne sono ancora alcune anziane, parlanti e non segnanti).Ora questo istituto è una scuola privata retta da un ordine religioso, come tutti quelli di questo settore sono sempre stati, che dà la precedenza di iscrizione ai sordi, ma è aperto anche agli udenti.
Il mio compito di educatrice (visti i corsi avanzati di LIS fatti all'ENS dopo quello amatoriale, ma non da interprete) è stato poco proficuo in quell’istituto perchè ho usato poco la LIS, in quanto ho fatto da sostegno e da jolly, in tutti e tre i gradi scolastici, mentre ora svolgo, prevalentemente, il lavoro d’insegnante nelle scuole statali. Ma questa è tutta un'altra storia.
Prima di chiudere la stesura di questo post, volevo segnalarvi un paio di libri di piacevole lettura sul mondo dei sordi: 1) IL SILENZIO INTORNO di Frances Itani e 2) VEDERE VOCI di Oliver Sacks, l'autore di Risvegli.
1) IL SILENZIO INTORNO - Il primo di questi due libri è un romanzo ambientato in Canada ai primi del 900. La protagonista Grania, nata udente, per una febbre di scarlattina, a 5 anni resta sorda, ma grazie al costante sostegno della nonna e della sorella maggiore, che la incoraggiano sempre a non arrendersi , riesce a non temere il mondo esterno e a reimparare a parlare e a leggere il labiale.
A 9 anni, pur avendo frequentato un anno di scuola per udenti insieme alla sorella, viene iscritta finalmente all'istituto per sordi normodotati dove resterà per altri 9-10 anni e dove imparerà la lingua dei segni, che in quell'istituto non era proibita.
Anni dopo, Grania, rimasta a lavorare per l'ospedale della scuola, incontrerà un bellissimo ragazzo udente, Jim, aiutante medico, il quale dopo esser diventato suo marito, andrà via per alcuni anni a combattere durante la prima guerra mondiale.
Il romanzo è a lieto fine, ma pur avendo una trama originale e insolita, è piuttosto spento nei toni ed è raccontato in modo distaccato e poco partecipe. I personaggi, soprattutto quello di Grania, la protagonista, non hanno quello spessore necessario a rendere il libro memorabile. Infatti, secondo me, dopo averlo letto, non lascia traccia, se non per il fatto che tratta di un argomento a me familiare. E' comunque un romanzo leggero e ideale per avvicinarsi e capire il mondo dei sordi.
L'edizione originale rilegata è del 2004, edita da Frassinelli, p. 369; esiste però anche un'altra edizione (economica)uscita per la Sperling Paperbacks, sempre con 369 pag. Entrambe sono trovabili in libreria o in internet o nei club librari come Mondolibri.
A 9 anni, pur avendo frequentato un anno di scuola per udenti insieme alla sorella, viene iscritta finalmente all'istituto per sordi normodotati dove resterà per altri 9-10 anni e dove imparerà la lingua dei segni, che in quell'istituto non era proibita.
Anni dopo, Grania, rimasta a lavorare per l'ospedale della scuola, incontrerà un bellissimo ragazzo udente, Jim, aiutante medico, il quale dopo esser diventato suo marito, andrà via per alcuni anni a combattere durante la prima guerra mondiale.
Il romanzo è a lieto fine, ma pur avendo una trama originale e insolita, è piuttosto spento nei toni ed è raccontato in modo distaccato e poco partecipe. I personaggi, soprattutto quello di Grania, la protagonista, non hanno quello spessore necessario a rendere il libro memorabile. Infatti, secondo me, dopo averlo letto, non lascia traccia, se non per il fatto che tratta di un argomento a me familiare. E' comunque un romanzo leggero e ideale per avvicinarsi e capire il mondo dei sordi.
L'edizione originale rilegata è del 2004, edita da Frassinelli, p. 369; esiste però anche un'altra edizione (economica)uscita per la Sperling Paperbacks, sempre con 369 pag. Entrambe sono trovabili in libreria o in internet o nei club librari come Mondolibri.
2) VEDERE VOCI - Il secondo libro è del dottor Oliver Sacks, autore del famoso Risvegli, da cui fu tratto l'omonimo e bellissimo film con Robert De Niro e Robin Williams, è un saggio del 1999 edito da Adelphi di pag. 256 in brossura, trovabile tranquillamente sia in libreria che in internet.
Da buon medico, ricercatore e curioso delle novità, Sacks narra qui la sua esperienza personale trascorsa nell'unica università al mondo per soli sordi, la Gallaudet University, frequentata pure da udenti, tutti però rigorosamente segnanti.
Vedere voci è scritto in maniera piacevole e accessibile anche a chi non ha molta dimestichezza con i termini medici e specifici, visto il nutrito apparato di note.
Quando Sacks andò, dietro invito, in questa famosa università non conosceva la lingua dei segni americana, l'AOL (la più diffusa e usata tra sordi di diverse nazioni), e, da buon neurologo, si meravigliò molto dell'acutissima capacità visiva che sviluppano i sordi, per vivere e comunicare tra loro e costituire una comunità.
La sua è un'indagine che tocca i problemi fondamentali del rapporto tra parola, immagine e cervello.
E' superfluo dire che è un libro unico e che consiglio caldamente di leggere.
Da buon medico, ricercatore e curioso delle novità, Sacks narra qui la sua esperienza personale trascorsa nell'unica università al mondo per soli sordi, la Gallaudet University, frequentata pure da udenti, tutti però rigorosamente segnanti.
Vedere voci è scritto in maniera piacevole e accessibile anche a chi non ha molta dimestichezza con i termini medici e specifici, visto il nutrito apparato di note.
Quando Sacks andò, dietro invito, in questa famosa università non conosceva la lingua dei segni americana, l'AOL (la più diffusa e usata tra sordi di diverse nazioni), e, da buon neurologo, si meravigliò molto dell'acutissima capacità visiva che sviluppano i sordi, per vivere e comunicare tra loro e costituire una comunità.
La sua è un'indagine che tocca i problemi fondamentali del rapporto tra parola, immagine e cervello.
E' superfluo dire che è un libro unico e che consiglio caldamente di leggere.
Per chi volesse andare ancora avanti con l'argomento e approfondire lo può fare con la lettura dell'esperienza diretta di una vera sorda, narrata ne IL GRIDO DEL GABBIANO di Emanuelle Laborit, nipote del più famoso ricercatore.
Emanuelle, nata sorda, ha visto spalancarsi le braccia del mondo imparando la lingua dei segni francese nell'istituto che frequentò.
Non ricordo per quale casa editrice è uscito qui in Italia, però è facilissimo trovarlo perchè è uno dei libri più pubblicati negli ultimi anni.
In più, se avete la possibilità, tanto per vedere con gli occhi il mondo e la dimensione dei sordi, vi ricordo che c'è sempre lo splendido film, ambientato in un college americano Figli di un Dio minore, del 1989, la cui protagonista Marlee Matlin è proprio sordomuta e grazie a questa interpretazione vinse l'oscar come miglior attrice protagonista.
Bene, mi sembra di aver detto tutto o quasi sul mondo dei sordi e la loro affascinante lingua. Ho trascurato, certamente i dettagli più tecnici e specifici, ma spero di essere stata sufficientemente chiara.
Alla prossima.
Emanuelle, nata sorda, ha visto spalancarsi le braccia del mondo imparando la lingua dei segni francese nell'istituto che frequentò.
Non ricordo per quale casa editrice è uscito qui in Italia, però è facilissimo trovarlo perchè è uno dei libri più pubblicati negli ultimi anni.
In più, se avete la possibilità, tanto per vedere con gli occhi il mondo e la dimensione dei sordi, vi ricordo che c'è sempre lo splendido film, ambientato in un college americano Figli di un Dio minore, del 1989, la cui protagonista Marlee Matlin è proprio sordomuta e grazie a questa interpretazione vinse l'oscar come miglior attrice protagonista.
Bene, mi sembra di aver detto tutto o quasi sul mondo dei sordi e la loro affascinante lingua. Ho trascurato, certamente i dettagli più tecnici e specifici, ma spero di essere stata sufficientemente chiara.
Alla prossima.
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