DIRITTI D'AUTORE

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martedì 13 maggio 2008

Il Maestro di Strada


LA SOPRASTANTE FOTO E' PRESENTE NEL BLOG DELL'AUTORE DI QUESTO LIBRO, IL DOTT. MARCO ROSSI DORIA : http://marcorossidoria.blogspot.com.

IL MIO POST
Questo, ormai, famoso libro pubblicato nel 2000 e ristampato nel 2002 da L'Ancora del Mediterraneo, riepiloga le esperienze di Marco Rossi Doria, l'autore, avvenute nell'arco di un ventennio di pratica professionale, in qualità di maestro elementare, svolta in diversi posti, toccando perfino l'Africa. Questa sorta di antologia narra le sue principali esperienze da maestro elementare, prima, e di maestro di strada, po
i, esperienze durante cui Rossi Doria si è fatto le "ossa" partendo volontariamente e iniziando, praticamente da zero, dalla nativa Napoli, città dove ha avuto, sin da principio, un gran da fare, e che lo ha visto tornare, dopo anni di latitanza, per intraprendere un nuovo importante progetto, tuttora attivamente in corso, "CHANCE - Maestri di Strada".

DI MESTIERE FACCIO IL MAESTRO è, dunque, un ripensamento della relazione pedagogica adulto-bambino, pur attraverso il racconto delle esperienze avvenute lungo quel ventennio da Rossi Doria, il quale è figlio dell'inesauribile Manlio Rossi Doria, agronomo, professore universitario e senatore socialista che lottò contro lo strapotere della Federeconsorzi attraverso l'Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno, di cui era presidente.
Lo stesso sp
irito combattivo di Manlio è stato ereditato dal figlio Marco, il quale, però, se il primo lo indirizzava ai contadini e i lavoratori della terra, affinché una riforma agraria adeguata restituisse loro la giusta dignità, il secondo la indirizza verso l'insegnamento, vissuto come una vera e propria missione.
L'insegnamento di Rossi Doria padre al figlio si orienta
verso i bambini delle scuole elementari e dei quartieri spagnoli di Napoli, dove si svolge il progetto CHANCE, appunto.

Il libro si apre con la prefazione di Tullio De Mauro, attualmente prof. ordinario di Linguistica generale alla Sapienza di Roma e già ministro della Pubblica Istruzione.
Tra un inedito e scanzonato aspetto di sé da studente di prima liceo e altri fondamentali ricordi, De Mauro traccia una panora
mica di ciò che Rossi Doria propone nel libro, ormai divenuto un classico nel campo dell'insegnamento, e che ogni insegnante dovrebbe aver almeno letto.
E' affrontato, infatti, il concet
to di empowerment, definito come “conferimento del potere di saper fare qualcosa” (p. 6), e che tutto il libro, oltre che tutto il lavoro dell'autore, è basato su questo concetto che” dovrebbe essere l'obiettivo di chi pretende di insegnare, perché “l' empowerment”, continua De Mauro, “è la pietra di paragone di un buon insegnamento” (ibidem). E fa notare ancora: “in queste pagine Marco Rossi Doria non si stanca di ripeterci che…veri e propri skills life li ha anche il più disgraziato e opaco e riottoso giovanotto mascalzone dei quartieri spagnoli o Portici, e di fare leva su quei powers reali per trascinarli sulla via della ripresa e conquista di altri e più complessi powers”, (p. 8).
Ho trovato molto uti
le leggere questa interessante introduzione spaziante sul contenuto globale del libro, e molto più, è stato il rileggerla alla conclusione, perché mi ha permesso di integrare bene i passaggi sui punti focali quali l'empowerment e le life skills, cioè i comportamenti positivi, mediante i quali è possibile affrontare le sfide della vita.
L'esperienza che Marco Rossi Doria ci presenta nel libro non inizia dal principio della sua carriera di maestro quando, giovane ventunenne, si mise ad insegnare lasciando inconclusi i suoi studi universitari, ma da una "parentesi" vissuta nel 1988 quando, per motivi di salute, si era trasferito in Sudan dove, pur continuando a insegnare, aveva potuto vivere quel periodo come una pausa di riflessione su tutta la sua vita, sul suo lavoro e sui motivi che lo avevano spinto ad intraprendere un "mestiere" così delicato decidendo subito che “l'età dell'indeterminatezza, che invece tutti i miei amici prolungavano, era già conclusa” (p. 30).
A questo interrogativo
e al perché ha “voluto subito decidere, senza alcun dubbio…che per fare bene in un mondo ingiusto non serve quasi più la politica…e che invece ci vuole una sorta di testimonianza etica, perseverante ma costituita dalle azioni pratiche di un mestiere, quotidiane, minute, ripetute”, (p. 30), l'autore che è figlio, come ho già detto prima, di un famoso personaggio intellettuale, antifascista, meridionalista e di un'ebrea ungherese, alto-borghese di città (rifugiatasi in America durante l'adolescenza per sfuggire alla shoa e “ritornata a vivere per sempre in una città disastrata del sud dell'Europa…divisa da una cortina di ferro, con la sua città dell'infanzia inesorabilmente dall'altra parte di quella cortina” (ibidem) ), lo spiega chiaramente poco dopo, anticipando che certe domande, ad es., su quali motivazioni spingono a intraprendere questa professione o quanto e quali “storie di famiglia, dei fatti capiti o non capiti” (p. 31), degli anni d'infanzia, lo hanno indirizzato verso il mestiere di maestro “valgono per tutti…è certo: ognuno ha la sua storia e, nel nostro mondo, in cui è possibile scegliere, ogni storia di mestiere ha una qualche corrispondenza più profonda con le persone che l'hanno scelta”, (p. 31).

UN RIESAME DI COSCIENZA
Perché, quindi, ci si trova bene a fare l'insegnante? Per Rossi Doria l'occasione di permanere su un altopiano sudanese, per un certo periodo, in una scuola italiana, per insegnare “a bambini piccoli italiani e non, educati alle buone maniere che sono ospiti qui e che nulla hanno a che fare con il mondo e con la vita di Ephraìm”, (p. 28), è motivo di riflessione sui dodici anni già trascorsi da maestro. Riflessione scaturita dalle differenti realtà riscontrate nettamente diverse da dentro la scuola protetta dalle sue mura rassicuranti, e da quello che è, invece, fuori di esse con il suo paese, di religione musulmana, i suoi abitanti, i suoi mercati, i suoi bambini, come Ephraìm Naana, il protagonista dell'osservazione di Rossi Doria, un ragazzo tredicenne, nero come l'ebano che ha la fortuna, come pochissimi nel suo paese, di lavorare al mercato come garzone di frequentare la scuola, apprendere sufficienti nozioni per poter gestire il suo lavoro e la sua vita.
Da piccolo Ep
hraìm aveva frequentato la scuola evangelica dove aveva appreso le prime sufficienti nozioni. Sufficienti però, non esaurienti, perché a detta del ragazzo stesso, il modo d'insegnare, secondo il suo punto di vista, era soddisfacente in tutte le materie, tranne che in matematica, presso la scuola degli evangelici, era “stupida come le rane che stanno ferme nel fosso per farsi catturare: tabelline e calcoli senza geometria con le cose spiegate tutte prima, senza quesito e senza un dubbio solo, niente formule dirette né inverse da imparare a memoria per collocare aree e volumi, niente parallelogrammi…niente radici quadrate né cubiche, niente algebra con le lettere…nessun teorema, …niente…senza dover scoprire né osservare né scrivere i ragionamenti per arrivare alla risposta -come invece vuole la scuola dell'islam dove vado io. Il mio maestro a vedere quelle cose matematiche degli evangelici ne riderebbe per sei giorni”, (pp. 26-27).
Infatti, la suddetta affe
rmazione dello sveglio Ephraìm fa coerentemente da pendent ad un'altra affermazione inserita un paio di pagine prima, nel libro: “Alla mia scuola il maestro di Corano è anche quello di matematica che comprende la geometria, l'aritmetica e l'algebra. Queste due materie che sono lo studio del Corano e lo studio della matematica, lui le mescola…Noi apprendiamo insieme il Corano e la matematica; ecco ti faccio subito l'esempio (Ephraìm si rivolge a Marco Rossi Doria). Sempre una sura a memoria, pure scritta a memoria, e la sura ha il suo numero; noi prendiamo le cifre di questo numero, che è indicato nel libro, le mescoliamo, poi subito dobbiamo eseguire moltiplicazione, divisione e tutti gli altri calcoli”, (pp. 22-23). Per interrogare, questo perspicace insegnante, continua il ragazzo, “ci chiama uno a uno… Il maestro dice:-la sura diciotto, parla tu, Ephraìm - Perché noi dopo dobbiamo scrivere la sura ma per prima cosa la dobbiamo declamare. Ma ancor prima di reclamare…rispondo così: - diciotto è il numero della sura, diciotto posso dividerlo in parti uguali per uno, per due, tre, sei, nove… Allora il maestro mi chiede di eseguire subito le moltiplicazioni a mente fra tutti i numeri per cui il diciotto della sura è divisibile… “, (pp. 23-24).
Anche nel lontano Sudan, Rossi Doria ha riscontrato i difetti di un metodo che non funziona, contrariamente ai pregi di un altro attuato dall'insegnante musulmano, che ama chiaramente il suo lavoro e si applica col cuore e con la mente per condurre agli obiettivi prefissati, ragazzi meno fortunati che pure hanno la fortuna, come Ephraìm, di lavorare e avere il consenso del padre di frequentare la scuola, con tutti i sacrifici che comporta.


L'INSEGNAMENTO COME UNA VOCAZIONE
Il sacro fuoco della vocazione all'insegnamento, la consapevolezza che c
i rende certi di non aver sbagliato mestiere è chiaramente e ampiamente spiegata dall'autore: “Quando accade … ci si presenta un'occasione, un'opportunità di guardare meglio in noi stessi. Se lo facciamo, è un'opera interna che ha inizio: davvero cerchi di sapere …perché hai preso una strada e non un'altra a questo mondo…Perché educare è un mestiere dannatamente serio e che ha a che fare molto seriamente con chi siamo: si tratta prioritariamente di incontro, di relazione umana e la qualità dell'incontro tra chi insegna e chi impara, tra chi educa e chi è educato è certamente biunivoca, ma soprattutto ha a che fare moltissimo con quel che, da dentro, ci ha spinto a insegnare. Davanti ai più piccoli e ai più giovani, presto o tardi, per quanto si voglia o si possa rimandare la domanda, ci si trova disarmati come davanti a sé stessi e ci si chiede di nuovo…chi sono io?”, (pp. 32-33).
Le soprastanti parole di Rossi Doria, secondo me, sono una
lucida analisi di riflessioni che ogni insegnante e, in genere, ogni educatore, si dovrebbe porre, anche perché la domanda "perché ho scelto di fare questo mestiere?", è una richiesta di chiarimento con sé stessi che tutti si sono posti, prima o poi, di qualunque mestiere scelto si tratti. E ha ragione Rossi Doria a far notare che educare è un mestiere maledettamente difficile!

Da parte mia, in qualità d'insegnante io stessa, ritengo che per svolgere una professione del genere bisogna per forza sentire la vocazione analogamente a quella religiosa che richiama tanti a pronunciare i voti e a dedicarsi ad attività missionarie, un po' com'è, in questo caso, l'episodio lavorativo di Rossi Doria in Sudan. E lo dimostra assai meglio quando, poche pagine dopo, l'autore descrive una delle sue prime esperienze da maestro a Napoli, nel 1981, quando, privo di esperienza, ad appena 22 anni, col solo diploma magistrale, si trovò di fronte a responsabilità enormi in una scuola di 1700 alunni e 80 insegnanti, con un direttore vecchio stampo, ligio al dovere, come ai vecchi tempi, nonostante fosse affetto dal morbo di Parkinson. Maestro in una città come Napoli, dove “tutte le cose sembrano ancora rilucenti ma il più delle volte appaiono come sono: mal messe e mal poste. Mal messo e mal posto ma tutto, proprio tutto: linee aeree acquedotto manto stradale insegne palazzi alzati da venti anni senza alcun dannato criterio, dovunque tu ti giri mal fatto e mal posto lo vedi e lo rivedi…” (p. 70).
Mal messa e mal posta è anche la grande scuola ricavata da un convento, due appartamenti e un vecchio pastificio. Tutti luoghi di una città, Napoli che, come tante altre “si attrezzano per sopravvivere” (p. 72), dove le mamme, le nonne giovani, le zie degli alunni di Rossi Doria sono “tutte vestite di nero”, molte delle quali rimaste sole nei loro letti matrimoniali “per i morti ammazzati” entrati “nella loro vita all'improvviso senza appello” (ibidem).
Una scuola in una Napoli simile a un presepe d'alluminio, ma che non porta ruggine, ed è governata dall'eroina che farà cadere chissà quanti dei piccoli alunni di Rossi Doria, insieme ad una precoce sigaretta.
Una scuola in cui il
direttore è attento a guardare l'arrivo puntuale degli insegnanti, che firmino in orario e con la penna nera.
Una scuola il cui segreta
rio ossequia molto, mette le carte a posto per risultare a posto, ma sotto sotto “fa pure i suoi commerci come è per forza di cose per tanti e tanti ancora negli uffici pubblici”, (p. 78), dove molto “lo fa il direttore e moltissimo lo fa il segretario” (p. 79).
Una scuola che impone al giovane maestro, alla sua prima esperienza, di perdere subito l'innocenza e conoscere immediatamente il dispiacere e la sorpresa, a dettare i pensieri all'autore che, per far ordine in questo caos di pensieri non vede altro modo che comprare un taccuino e scriverli assistendo, impotente, ogni mattina, alla perdita dell'innocenza in un luogo dove il segretario, il collega amico del segretario, la supplente, gli appli
cati di segreteria, i bidelli e le colleghe sono tutti adulti da cui egli deve prendere le distanze, di cui deve cercare di carpire “i veri segni di come sono queste persone adulte che riempiono di parole di atti di gesti un luogo che dovrebbe essere pensato e nutrito di volontà rivolta verso i bambini o almeno” (p. 79), come aveva inteso, prima di metterci piede, Rossi Doria.
Una realtà sfalsata e corrotta, quindi, quella che l'autore si è trov
ato di fronte, ma che, nonostante tutto, quando è in classe con i suoi piccoli allievi di prima, una classe numerosa, più o meno come quelle attuali, di 31 alunni, con i loro grembiulini bianchi e il loro fiocchetto azzurro, si lavora e si dimentica tutto ciò.
Una classe in cui c'è Patrizia, una bambina tanto bella che, a detta di sua madre, “ha le mosse” (p. 102), cioè è epilettica, la quale si va ad aggiungere ad una classe di 30 piccoli scugnizzi che “sembrano pronti davvero ad un assalto…che già si spingono si dicono le parole, parolacce terrificanti, due terribili salgono sui banchi uno accenna a un calcio” (ibidem). Ed è sol
o il primo giorno!
Sarà in mezzo a questa bolgia di piccoli selvaggi che Marco Rossi Doria dovrà insegnare, come riferisce il bidello Eduardo, detto il vampiro, uomo corrotto e sfaccendato, prima di tutto l'italiano perché “non è la loro lingua materna e devono imparar la lingua santa d'Italia a leggere e a scrivere e a far di conto e poi viene tutto il resto” (p. 106).
E, ancora, l'autore si renderà conto che, nonostante le ansie sul come si deve fare scuola o come si dovrebbe fare, racconta delle sue inadeguatezze, perché forse non è all'altezza della situazione, per le invidie e i sospetti che gli occhi degli altri colleghi gli trasmettono quando sono puntati addosso, l'autore scopre/scoprirà che, a furia di chinarsi, di accovacciarsi all'alte
zza dei bambini, tanto più piccoli, il maestro si mette sempre più “con gli occhi di fronte agli occhi a turno di ognuno ed è lo sguardo alla stessa altezza che costruisce pazienza, aiuta a portare le cose a compimento è il fare le cose da vicino; sì che sono grande e che sono più alto ma mi metto qui ora: è questa la vicinanza che permette di pacare il moto dei loro corpi e la voce che grida” (p. 109). E' un farsi piccolo tra i piccoli, un tornare indietro nel tempo, della propria memoria, un rinverdire i ricordi e le emozioni di un tempo, quando si aveva la stessa età, quando la mamma ci accompagnava a scuola, quando in prima piangevamo perché non eravamo ancora abituati alla disciplina e a star nei banchi, fermi, senza giocare, zitti ad ascoltare la maestra per apprendere, studiare, ecc.

IL CUORE DELLA SITUAZIONE
E' qui che Rossi Doria interviene, nel vivo della situazione, e ricorda al lettore che in molti sono gli insegnanti che non credono più, “ci siano strade predefinite, precetti sicuri e rassicuranti” (p. 57). Che servono nuove categorie di riferimento come quella dell'empowerment, appunt
o, la quale altro non è che “un costrutto complesso che indica l'insieme di conoscenze, di modalità relazionali, di competenze che permette a individui e a gruppi di porsi obiettivi e di elaborare strategie per raggiungerli utilizzando le risorse esistenti. Questa definizione transculturle”, continua Rossi Doria “ci suggerisce gli ingredienti necessari per mettere in moto un processo attivo, teso ad affrontare una situazione di disagio… e ci dice che dobbiamo sempre vedere i bambini e i ragazzi come possibili protagonisti, risorse partecipanti attive e creative e non come oggetto di misure e di dispositivi. Di più: dobbiamo noi stessi ogni volta ideare, costruire e fabbricare insieme ai bambini e a i ragazzi un campo di azione comune, un power, un potere attivato insieme” (pp. 57-58). In pratica, il concetto di empowerment non cancella la “funzione educativa adulta”, (ibidem), ma sprona gli educatori a ridursi sempre, in ogni caso, a misura dei bambini con cui sempre, e in ogni caso, hanno a che fare, con quello che essi sono e che esprimono, senza tener conto di piani e idee stabilite prima del lavoro educativo vivo.
L'empowerment, propost
o da Rossi Doria, si propone di agire sulle risorse della relazione, sui movimenti continui di competenze e conoscenze, in un continuo progredire nella ricerca della soluzione adeguata ai problemi che si presentano via via che si procede in un vero e proprio “work in progress continuo” (p. 58).
Una probabile proposta per procedere, secondo la logica dell'empowerment, poi, l'autore ce la indica a p. 61, quando propone che “innanzi tutto bisogna poter coinvolgere emotivamente i ragazzi: la relazione in qualche modo precede la comprensione o quanto meno la condiziona potentemente… se la relazione educativa prende a funzionare, anche il curriculare funziona meglio e se nel
gruppo-classe si instaura una buona relazione tra i pari l'effetto domino nei processi di apprendimento si duplicheranno e diventeranno sempre più rapidi… E' la relazione la chiave di volta, il centro. La logica dell'empowerment dà gli ingredienti, aiuta ad attivare le risorse, permette di dare un ordine di priorità ma a partire dalla relazione” (pp. 61-62).
Ed è proprio questo che
Rossi Doria fa con la sua Associazione, posta nel cuore dei quartieri spagnoli, i quartieri di malaffare di Napoli dove, dopo anni, l'autore è tornato, nel 1998, più che mai convinto a svolgere il suo operato, la sua "vocazione", chiaritasi, ormai, come quella di "maestro di strada" di questi quartieri dove però non regna solo il malaffare, ma è presente anche una robusta tradizione produttiva, oltre che una rete di servizi che “vivono fianco a fianco a tutto il resto” (p. 163).
Questa Associazione dei "Maestri di Strada" che ha promosso, grazie a
Rossi Doria, il progetto CHANCE, ha sede in un'unica stanza aperta sulla strada, sulle cui pareti ci sono dei manifesti sotto vetro e al cui ingresso c'è una cucina. E' la sede dell'Associazione di volontariato a cui l'autore si è rivolto poiché è conosciuta da tutto il quartiere visto che si occupa delle piccole fabbriche, promuove lo sviluppo e poi ne cerca le vie. “Ha i presupposti per farlo”, fa notare Rossi Doria. “Le persone che l'hanno fondata sono stati per anni, per scelta, operai di una fabbrica di borse del quartiere. Sanno di cosa parlano… Sono (quelle del quartiere) sapienze manifatturiere anch'esse resilienti e perciò vitali, capaci di crescere. L'Associazione vuole assisterli in questo” (p. 164).

Resilienza. Un altro termine, proposto nel libro, da porre in risalto. “La virtù più grande dei bambini e dei ragazzi…Un verbo latino che vuol dire rimbalzare, saltare indietro… La fisica ci narra che la resilienza è il rapporto tra il lavoro necessario per rompere una barretta di un certo materiale e la sezione della barretta stessa; rappresenta la proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi. Da qualche tempo la resilienza è diventata una categoria che descrive la capacità degli umani di fare quotidianamente i conti con una situazione esistenziale precaria, allarmante o minacciosa o con uno stato di cose che trattiene lontano da sé le possibilità e le occasioni della vita che invece dà ad altri.
Qualcosa vuole colpire l'animo per spezzarla. E la resilienza è il resistere intenso ma per un attimo solo e il rimbalzare indietro; è la virtù del "risalire" che impedisce che l'anima si spezzi in quel momento e nei tanti momenti che verranno
” (p. 160). Ed è esattamente ciò che fa l'Associazione occupandosi delle PERSONE, col suo "sportello sociale", nell'unica stanza aperta sulla strada, dove entra ed esce, di continuo, gente di tutti i tipi, “da operai, occupati e disoccupati di ogni genere, insegnanti, animatori ed educatori di strada, volontari, sociologi, funzionari, contrabbandieri, scrittori, fotografi, stranieri e folli di quartiere compresi. E bambini e ragazzi. Continuamente. Tanti bambini e tanti ragazzi” (p. 166). A Marco Rossi Doria sembra di aver trovato, qui, il cuore dell'intera Napoli. Un luogo dove l'autore è, a buona ragione, convinto di poter reimparare il proprio mestiere da capo, partendo proprio dal principio, perché è un luogo dove i bambini entrano per attirare l'attenzione o fare sport, dipingere, plasmare o eseguire i compiti che altrimenti non farebbero.
In questa Associazione c'è chi segue e prova a risolvere “pratiche con i giudici, entra in luoghi di detenzione e tiene teso il filo tra l famiglie… chi gira per le scuola, chi per i luoghi di produzione e di commercio che, nel quartiere popoloso e composito, affiancano le attività incostanti e illecite o interrompono…l'assenza disperante di lavoro e di risorse” (pp. 168-169). E' un lavoro costante e giornaliero di "traduzione e mediazione culturale", come lo definisce l'autore, il quale si chiede: “Cosa fa la scuola per costruire un vero incontro, per offrirsi davvero? E' disposto a cambiare linguaggio, ad allargare confini e leggi?” (p.169).
L'aspetto che qui in
teressa Rossi Doria è quello riguardante i bambini e i ragazzi per cui vengono attrezzati, dall'Associazione, palestre e laboratori creativi, corsi di computer, di falegnameria e bricolage, di fotografia, di pallavolo, ginnastica, danza e calcio, oltre che luoghi di studio, dopo la scuola, e di gioco, ogni sera, senza barriere precostituite per l'ingresso a ciascuno: le porte sono aperte a tutti e per l'intera giornata. E' un tutt'uno con la strada, luogo per eccellenza da cui proviene la maggior parte.
Essendoci, poi, delle modalità e delle regole riguardanti lo spazio condiviso, Rossi Doria si domanda a p. 170 se “non potrebbe essere anche la scuola un poco più simile all'Associazione” . E dall'iniziativa che egli stesso ha promosso, sembra di si ed ecco quindi nascere il progetto CHANCE- Maestri di Strada, che intende recuperare gli adolescenti che hanno lasciato la scuola al fine di indurli al recupero di un percorso di istruzione, accompagnandoli fino alla conquista del titolo raggiunto, com'è il caso della quattordicenne di cui si parla a fine libro, nel capitolo-postfazi
one, intitolato Fuori Tempo Massimo, la quale, al tempo in cui Marco Rossi Doria scriveva, era incinta, ma che grazie alla cura che l'autore e l'Associazione si sono presi di lei, come di altri ragazzi, è riuscita a conseguire la licenza elementare, con tanta fatica, ma anche con gran soddisfazione dei suoi "educatori-protettori". “Conto di stare fuori tempo massimo: il bimbo arriverà”, scrive l'autore, “lei ha preso a quattordici anni la quinta elementare perché l'abbiamo tirata di forza, forse non verrà più da noi, quel che si poteva fare è stato fatto, quante volte l'abbiamo inseguita!” (p. 232).
L'atteggiamento di Rossi Doria, in questo brano, epilogo del libro, è sempre con lo sguardo rivolto alla scuola e a quello che dovrebbe essere, o per lo meno, assomigliare: con l'espressione inglese di learn from good practices, cioè apprendere le buone pratiche, cosa che fanno molto e usano molto le agenzie internazionali di infanzia, compresa l'Associazione, Rossi Doria invita la scuola pubblica a guardarsi attorno e a confrontarsi, p
roprio come fanno le suddette agenzie, per misurarsi e accogliere “cose buone da fuori del proprio bagaglio” (p. 171), per elaborarle creativamente e adattarle al proprio ambiente di lavoro, mediante tentativi e nuove prove, in cui sono insiti, e inevitabili, ma propizi, gli errori.
Col suo progetto CHANCE, Rossi Doria ha dimostrato che, nonostante tutto ciò sia proprio raro a scuola, qualche risultato come la quattordicenne di cui sopra, si è ottenuto, certo a prezzo di continui inseguimenti e di un'inesauribile pazienza.
La proposta esposta nel libro da cui l'autore intendeva partire, riguardava l'obbligatorietà della scuola d'infanzia di almeno due anni, da continuare in un percorso che dovrebbe durare fino ai 16 anni. Ai bambini si prevede, in questa proposta, l'affiancamento di un tutor ad personam, indicato dai servizi sociali del Comune, per fornire uno stabile punto di riferimento adulto, anche in una funzionale realtà di iniziative territoriali, con premi in danaro a chi svolge il proprio compito nei quartieri più difficili.
Maggiore importanza, inoltre, dev'essere assegnata all'insegnante prevalente di classe (nelle elementari) per co
nsolidare una relazione educativa più stabile e definita, perché agisca almeno sulle minime competenze, essendo questa l'età della latenza.
Le classi, aggiunge poi Rossi Doria a p. 192, non devono superare le 16 unità, in modo da consentire il lavoro all'insegnante per consolidarlo, come detto sopra, perché, il più delle volte, le realtà presenti sono spesso bambini e ragazzi incontenibili, che non vanno a scuola per giorni interi, magari solo per un capriccio di ispirazione (“Quella professoressa è brutta e mi a schifo e basta”, p. 202), fino, in molti casi, all'abbandono della frequenza (è il caso dei drop-out, autoesclusisi dalla scuola, quelli più devastatori e disadattati).
Urge, allora, una rivoluzione copernicana con percorsi scolastici che offrano una seconda opportunità, con docenti scelti e che scelgano volontariamente questo tipo d'incarico, dietro cui c'è una “forte formazione, supervisione psicologica, libertà e sostegno finanziario, ma
gari in accordo con il comune” (p. 207).
Le proposte esposte, come
già preannunciato in questo libro, sono state sottoposte all'attenzione del Ministro della Pubblica Istruzione e inserite nel gruppo di lavoro del MIUR, convocato dal Ministero per “contribuire a indicare i criteri della professionalità docente e di un codice deontologico” (fonte: la rete), vista la vasta esperienza, acquisita in venticinque anni, dall'autore, nella scuola elementare, prima, e nell'attuazione del progetto CHANCE, poi, promosso a Napoli da lui e dagli altri maestri di strada. Iniziativa encomiabile e unica nel suo genere.

Mi sento in dovere, per questo, prima di concludere, di augurare buon lavoro al Dottor Rossi Doria e a tutti i Maestri di Strada che collaborano attualmente al progetto.

Maestra Lena.

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Il presente post è un lavoro svolto per l'Università del Sacro Cuore di Brescia.

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La biografia e l'operato del Dott. Marco Rossi Doria, essendo anch'egli un blogger come molti di noi, è rintracciabile al seguente indirizzo: http://marcorossidoria.blogspot.com

35 commenti:

  1. GRANDI!!!Progetto importante...
    Ciao Lena ;-)

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  2. e Brava maestra Lena, proprio un bel progetto!
    Un bacio e buon inizio settimana!

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  3. Le radici socialiste hanno prodotto degli ottimi frutti...che propagheranno i loro semi sulla strada maestra... , ..mandi mandi ...Loris...

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  4. Scusa Lena ma ti ho inserita solo adesso nei miei feed. Non sapevo, quindi, che avevi scritto un post.

    E che post. Sinceramente ti dico che adesso non ho il tempo per leggerlo tutto e con l'attenzione dovuta. Per adesso ti lascio solo un saluto con la promessa di ripassare domani.

    Ciao

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  5. Grazie di avermi fatto leggere queste pagine e di avermi dato le indicazioni del blog del maestro doria. Sapevo di questa figura ma non avevo letto niente
    marina

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  6. Ottima dritta, ti ringrazio. Anch'io avevo sentito parlare del progetto ma non ero mai andato a fondo. Ora con questo post ed i link non ho più nessun alibi.
    Mi sembra un progetto molto ambizioso ed importante che merita tutta l'attenzione possibile!
    Un abbraccio e buon inizio settimana

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  7. bellissimi come sempre i tuoi post!Anch'io ho aggiornato il mio blog, passa se vuoi!

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  8. Ciao Lena..
    non avevo idea dell'esistenza di tale progetto e di una persona come Marco Rossi-Doria. Adesso vado a visitare il blog.
    Grazie.
    E' anche vero che ho letto questo post in tre riprese (eh eh eh...sono lento in tutto) e tu, scrivi scrivi scrivi...che è una bellezza!!!!

    Ma poi, non ti ho mai chiesto...ma canti ancora?
    La musica è una dipendenza, quindi presumo di si. Se preferisci, rispondimi via mail. L'indirizzo lo trovi sul mio blog.
    A prestoooooo

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  9. siete stati una piacevole nuova conoscenza grazie

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  10. Ciao Lena ! Buon fine settimana
    A presto
    Gy

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  11. ...passo per un saluto veloce!!! Buon inizio di settimana ;)

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  12. Ciao... passione della mia mente e del mio cuore... ti ho lasciato un meme nel mio blog...

    :-*********************************

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  13. Ciao carissima, ho un premio per te!
    Un bacione!

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  14. Ciao Lena ! Ho 2 gg di riposo anche io...per fortuna !!! lavoro oggi pomeriggio......ciao e alla prossima

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  15. ciao, questo commento è un no comment

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  16. tesoro, non mi piace il diciassette.... ora posso lasciarti i miei saluti..... mamma che post!!!

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  17. Iniziativa lodevole. Purtroppo (come considerazione) e per fortuna (come soluzione) le varie forme di 'volontariato' stanno sempre di più sostituendo le mancanze delle istituzioni statali.

    Ciao

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  18. controlla la tua posta su youtube :-)

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  19. leggere l'intero blog, pretty good

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  20. necessita di verificare:)

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  21. quello che stavo cercando, grazie

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  25. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  26. Caro amico che scrivi in inglese e lasci sempre la pubblicità, questo sito non è affatto quello che pensi. E' un blog di cultura generale. Nient'altro. Per cui, ti prego di non postare più commenti con link pubblicitari su diete e viaggi o alberghi.
    Grazie.

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  27. Hi, as you may already noticed I'm recent here.
    I will be happy to get some help at the start.
    Thanks and good luck everyone! ;)

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  28. Caro amico della Polonia, ti ringrazio della tua visita al mio blog di cultura e per il commento, che ho dovuto per forza cancellare, perchè contenente link pubblicitari, pur se per studenti. Sai anche tu che è proibito farsi pubblicità in questo modo.
    Se vorrai lasciarmi un commento al post, senza pubblicità, sarà molto gradito.
    Grazie e buon carnevale anche a te dalla lontana Polonia.
    Ondamagis.

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  29. volevo far notare che uno stesso post l'ho trovato pari pari su un altro sito. quindi la domanda sorge spontanea..chi ha copiato chi?

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  30. caro/a anonimo/a, se avessi guardato più attentamente il menù a sx, dov'è scritto: 'Io sono anche qui', non avresti fatto questa magra figura! Anzi sappi che i miei post inseriti in questa categoria, dai rilevatori delle statistiche, risultano essere i più cliccati di tutto il blog, oltre che copiati da qualche svogliatissimo studente universitario, che studia materie pedagogiche!
    E la prossima volta, mostrati col tuo nick, perchè dietro a questo coputer c'è l'autrice autentica di questi articoli, che tu li veda qui o in siti come ciao.it, sono sempre io!

    Ciao Sherlock Holmes.

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