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sabato 12 gennaio 2008

LA REGINA E LO ZINGARO

Recensione e confronto critico tra i romanzi "L’amante della regina vergine" (Philippa Gregory) e "La regina e lo zingaro" (Constance Heaven)
Preambolo
L’amante della regina vergine è il secondo romanzo di una scrittrice ancora poco nota in Italia, Philippa Gregory, la stessa che ha già scritto L'altra donna del re, edito, nel 2006, dalla Sperling & Kupfer.
Se quest'ultimo, però, ha per protagonisti Enrico VIII, le sue prime due mogli e una delle sue amanti, Maria Bolena, sorella di Anna, il romanzo che sto per recensire ha, invece, per protagonisti la figlia minore, e più somigliante al grande re, Elisabetta I, il suo principale favorito Robert Dudley ed Amy Robsart, moglie di quest'ultimo.
Prenderò in esame un altro romanzo molto simile a questo, da cui ho preso in prestito il titolo per questo articolo: La regina e lo zingaro, scritto trenta anni fa, nel 1977 da Constance Heaven e pubblicato in Italia per i tipi della Mondadori, nella collana degli Oscar, nel 1983 e, da ciò che mi risulta, finora mai più ristampato. Un bel romanzo, senza dubbio, che non indulge troppo sugli aspetti sentimentali della vicenda, ma equilibra egregiamente rispetto ai primi, anche quelli storico-politici.
Ormai è manifesto il mio amore per la storia, soprattutto quella dei Tudor, perla del pre e del rinascimento europeo. Se ho, pertanto, voluto scrivere sul secondo libro della Gregory, è anche perché questa autrice ha un po' distorto il personaggio della grande sovrana, rispetto a come invece ci è stato tramandato dalla storia. Ecco perché, cogliendo la palla al balzo, ho rispolverato il romanzo della Heaven, a lungo sopito nella libreria della mia casa paterna, il quale, pur essendo quasi un parallelo di questo della Gregory, propone un'altra versione della vicenda, direi, con un finale che va quasi in senso opposto, fatto storico realmente accaduto e risaputo da ormai oltre cinque secoli.
Anche la descrizione caratteriale dei personaggi non coincide con quella dell'altra scrittrice. Poi ne spiegherò il perché.
Intanto diamo inizio al confronto.

L’amante della regina vergine: i personaggi

Il romanzo si apre con l'incoronazione di Elisabetta, alla morte della sorellastra Maria. Siamo nel novembre 1558 e l'Inghilterra è in un tripudio di gioia: ha finalmente avuto la sua regina, l'erede incontestata (dal popolo) del grande re Enrico. Ma lady Amy Robsart, bella e giovane moglie di lord Robert Dudley, non lo è. Ella non è felice per quella proclamazione. Tutt' altro! E' proprio grazie a quella festa che suo marito non è con lei. A causa di quella donna, Robert non la calcolava più, ignorandola ormai apertamente. L'augurio che, pertanto, Amy rivolgeva mentalmente alla nuova regina era che Dio la stroncasse in tutto. Per averle usurpato l'affetto del marito, per aver riproclamato l'eresia e cancellato la vera fede restaurata dalla povera regina Maria, così cagionevole di salute, che, alla fine, aveva dovuto soccombere.

E' comprensibile, da queste poche righe, come i personaggi di questa 'farsa' si comportino. Analizziamoli, quindi, uno per uno e iniziamo proprio da lui, l'oggetto della contesa tra le due donne, lord Robert Dudley.
E' nel 1549 che Robert vede, per la prima volta Amy Robsart, durante un sopralluogo che stava effettuando il padre, lord John Dudley, conte di Warwick, a Syderstone, dall'Alto Sceriffo del Norfolk e Suffolk, sir John Robsart, appunto, padre di Amy. Robert ha quasi 17 anni ed è il terzo figlio maschio del potente e ambiziosissimo lord Warwick. Siamo negli anni del regno del re bambino, Edoardo VI Tudor, figlio di Enrico VIII.
Suo nonno, Edmund Dudley, era stato il consigliere privato di Enrico VII, ma a causa della severità adottata in fatto di politica finanziaria, si era attirato una vasta impopolarità che lo aveva condotto al patibolo durante i primi anni del regno di Enrico VIII.
Il figlio, lord John, padre di Robert, riuscì, in seguito, a conquistare l'amicizia di re Enrico, combattendo contro Francesi e Scozzesi, dimostrandosi un militare dal talento inestimabile e preziosissimo.
Protestante sin dall'inizio della Riforma, con l'avvento di Edoardo al trono, nel 1545, lord John compì ulteriori progressi nella sua carriera, fino a raggiungere il secondo posto nella gerarchia politica inglese. Grazie a lui, e alla sua smisurata ambizione, giunse perfino a cospirare contro la famiglia Seymour, parente del re, da parte di madre (Jane Seymour era la terza moglie di Enrico VIII e madre di Edoardo VI), preparando la rovina dello zio del re, lord Somerset, conclusosi con la sua decapitazione nel 1552, anche se esistono versioni diverse su questa vicend
Grazie allo strapotere di cui godeva e al forte ascendente che esercitava sul giovane re, lord Warwick persuase il sovrano a cambiare la linea ereditaria al trono, diversamente da come l'aveva progettata Enrico VIII. Da eredi al trono le sorelle maggiori del re, Maria (figlia di Caterina d'Aragona, prima moglie di re Enrico) ed Elisabetta (figlia di Anna Bolena, seconda moglie dello stesso sovrano), ritornavano, nei piani di Warwick, ad essere delle neglette e illegittime principesse, a favore di Jane Grey, pronipote del defunto re e moglie di suo figlio Guildford.
Lord John però non aveva fatto i conti col tempo e col destino che spettava al giovane re.
Nel 1553 Edoardo VI morì e Dudley, convinto sempre più che avrebbe messo sul trono d'Inghilterra la fragile nuora e suo figlio, quale principe consorte, ostacolò, in tutti i modi, l'arrivo della legittima erede, la principessa Maria.
Far salire al trono la spagnola Maria, per l'Inghilterra significava, però, anche tornare al cattolicesimo e sotto l'egida della potenza papale e, questo non doveva accadere all'anglicanissimo lord Warwick, diventato, nel frattempo, anche duca di Northumberland.
Contrastare l'ascesa al trono di Maria però si rivelò subito un'impresa fallimentare e, nell'agosto di quello stesso anno, il 1553, il padre di Robert fu condannato a morte e giustiziato insieme a figlio e nuora.

Ma torniamo a Robert.
Aveva conosciuto Amy per caso, abbiamo detto, accompagnando il padre nel suo abituale giro di controllo, essendo tenente generale delle forze armate e, grazie alla sua avvenenza, aveva subito attirato l'attenzione della coetanea figlia di sir John Robsart.
Robert era un giovane alto come suo padre e si muoveva con una grazia genuina. Aveva folti capelli ricciuti; una delicata curva gli formava l'arco sopraccigliare, il naso corto e arrogante e una bella bocca, uniti ad un incarnato olivastro, lo rendevano irresistibile agli occhi di tutte le giovani donne. Ed Amy non faceva eccezione. Sarà, anzi, proprio questo colorito ad incantare, più tardi, Elisabetta, la quale, avvezza a dar soprannomi, lo chiamerà 'the gipsy', 'lo zingaro', con scandalo di tutta la corte e di tutto il mondo che gravitava, allora, intorno all'Inghilterra.
Quando vide Amy, Robert si trovava in uno dei suoi rari momenti di pura felicità, perché nelle ultime due settimane aveva cavalcato al fianco del padre e partecipato alla sua prima campagna. Perfino il padre, piuttosto avaro di lodi, si era complimentato con lui per il suo comportamento. E Robert teneva tanto alle approvazioni paterne, perché ammirava incondizionatamente il suo brillante genitore. Era, inoltre, un ragazzo orgoglioso della propria figura atletica e snella, che conservava mangiando e bevendo con parsimonia.
Delle alle altre due protagoniste di entrambi i romanzi, Robert aveva conosciuto prima Elisabetta, quando era 'la bastarda', 'la figlia della strega'. Avevano passato del tempo insieme a studiare, ad esercitarsi con le danze, ma mai era sorto il sospetto, in entrambi, di ciò che sarebbe potuto essere un giorno. Per questo, la sera che egli udì per la prima volta cantare Amy, a Syderstone, ne restò affascinato e ammaliato dalla dolcezza della voce, oltre che dalla grazia innocente della ragazza, poiché lui stesso era un buon musico.
Poco tempo dopo i due ragazzi convolarono a nozze, sfidando il tempo, l'età, le invidie di tanti che avevano cercato di dissuaderli e, soprattutto, le differenze degli ambienti di provenienza: perché Robert apparteneva alla corte, alla vita gaia e spensierata che lì si conduceva; mentre Amy apparteneva alla media aristocrazia di campagna, la quale viveva sempre appartata e veniva cresciuta ed educata con sani e robusti principi.
La graziosa Amy era figlia unica di sir John Robsart e della moglie, la vedova Appleyard con già tre figli al seguito, due femmine e un maschio, tra i quali risultano veramente antipatici, in entrambi i romanzi, gli ultimi due fratellastri di Amy, Frances e John, sempre pronti a sfruttare la situazione in qualsiasi momento e sempre disapprovanti ogni minima azione della piccola Amy.
Era vero che Amy aveva la testa fra le nuvole, il più delle volte, ma era pur vero che non era affatto stupida e, al momento opportuno, sapeva prendere in mano le redini della situazione.
Tale era Amy Robsart, dolce e gentile, dalla bellezza delicata, piacevole e mai appariscente: la classica ragazza acqua e sapone, semplice e carina, tanto per intenderci.
Il motivo per cui Robert Dudley sia stato attratto da questa semplice bellezza è sicuramente risalibile alla musica, amata da entrambi, dalla magia creatasi la sera che si conobbero e dalla smania che colpisce tutti gli adolescenti, di voler bruciare le tappe e crescere in fretta a tutti i costi, per dimostrare agli altri che si è adulti ormai.
Era la sua virilità appena scoperta a farlo agire con sicurezza, forse, più che la bellezza di Amy. Di lei Robert pensò, all'inizio, che avesse gli occhi bruni e limpidi della sua affezionata cagna Babette, quando lo supplicava di accarezzarla. E i suoi capelli, castano rossiccio, erano simili al manto di uno scoiattolo. Avrebbe tanto voluto posare le sue labbra su quelle di lei, dolcemente socchiuse. E il suo nome? Non voleva dire Aimèe…amata?
Tutto, quella famosa sera, cospirava a loro favore. Ma Scoiattolino, come lui la soprannominò durante gli anni felici, prima dell' 'abbandono' per la più potente Elisabetta, lo tormenterà per sempre con questa frase: "Pioveva quella sera, una leggera pioggia settembrina, quando arrivasti a casa di mio padre, e io non immaginai - come avrei potuto? - che la morte era arrivata da me sotto le incantevoli sembianze dell'amore…" (La Regina e Lo Zingaro, p.15).

Con Elisabetta, Robert, sin da ragazzini, ad Hampton Court, aveva studiato insieme sotto la guida dell'ultima moglie di re Enrico, Catherine Parr. Elisabetta, già allora pareva un demonio e litigava con lui come cane e gatto, aspettando Mary, sua sorella che faceva da paciere. Non aveva più pensato a lei da molto tempo…
Alcuni anni più tardi, dopo il matrimonio con Amy e dopo la morte del giovane re, a causa dell'evolversi degli eventi, cioè l'incoronazione di Maria I e il tradimento di lord Warwick a favore di Jane Grey, che si concluderà, come ho già detto, con la decapitazione dei protagonisti del golpe, lord Robert resterà rinchiuso nella Torre dei traditori (a White Tower), lontano da Amy e avrà modo di rivedere la principessa Elisabetta, sorella reietta della sovrana in carica, che l'aveva fatta lì imprigionare, perché considerata pericolosa a causa delle agitazioni che serpeggiavano tra i protestanti e a cui, spesso, non erano estranei nemmeno alcuni cattolici.
L'idillio tra Robert ed Elisabetta iniziò proprio tra le mura tetre della prigione, quando entrambi, ambiziosi e iperattivi, si sentivano schiacciati e resi impotenti dall'ozio forzato; per cui, quando arrivava il momento di prendere aria in cortile, si scambiavano delle fugaci occhiate d'intesa e delle furtive parole di solidarietà, tra cui la promessa di Robert, il giorno che Elisabetta fosse divenuta regina, di essere il suo più fedele suddito e servo. Egli lo sentiva già con certezza nel cuore che, a breve, quella ragazza sottile, dalle lunghe ed eleganti dita, quella creatura intelligente e colta, coi capelli rossi dei Tudor, lasciati sciolti sulle spalle, ritratto al femminile di re Enrico, sarebbe un giorno salita al trono e diventata regina, la sua regina.
Grazie al matrimonio di Maria con Filippo di Spagna, figlio dell'Imperatore Carlo V, però, le cose cambiarono un po': tra i tanti prigionieri protestanti rinchiusi nella Torre, Elisabetta sarà tra i primi prescelti, insieme a Robert, (che porterà però con sé, per ricordo, una subdola febbre che lo tormenterà tutta la vita - e sempre nei momenti meno opportuni -, acquisita a causa delle frequenti epidemie che scoppiavano nella prigione, soprattutto quando era troppo affollata) ad essere liberata.
Dopo la liberazione Robert, pur vivendo ancora con Amy, prenderà coscienza della situazione politica del momento e di quella personale: vivere in campagna e amministrare le terre (lavoro che svolse bene però) di sir John Robsart, suo suocero, non era il massimo, né si confaceva alla sua indole ambiziosa e abituata al lusso della corte.
Con un fiuto più unico che raro unito ad una forte inclinazione per il rischio, Robert, qualche anno dopo la morte del suocero, vendette alcuni appezzamenti di terreno portati in dote da Amy, per dare del denaro ad Elisabetta e aiutare la sua causa affinché venisse rovesciata l'acida sorellastra Maria, poi soprannominata 'la Sanguinaria', a causa dei numerosissimi roghi perpetuati a danno dei protestanti immolati in nome di Dio e per la salvezza della vera fede, oltre che per un assurdo voto: raddoppiare i roghi degli eretici, pur di avere un figlio da porre sul trono per salvare l'Inghilterra.

Nel frattempo la scena del teatro politico era cambiata. Filippo non viveva più in Inghilterra, ma in Spagna, essendo succeduto al padre CarloV, ed era diventato Filippo II di Spagna. Alla guida dell'Impero, invece, era succeduto all'anziano imperatore, Filippo d'Asburgo, fratello del primo.
Ad Elisabetta, che viveva a corte, fu imposto, dalla sorella, un matrimonio combinato dal marito. Lo sposo candidato era un amico e alleato di Filippo, il duca di Savoia, Emanuele Filiberto, il quale era, si, un buon soldato, con una certa vistosa bellezza, ma godeva della fama di bevitore e gaudente che, in compagnia di Filippo, appunto, era solito frequentare certi posti in modo piuttosto assiduo, dai più noti bordelli di Bruxelles, a certe aristocratiche camere da letto.
A questo matrimonio Elisabetta oppose un fermo rifiuto. Non sarebbe andata in un paese straniero: sentiva, dentro di sé, che il suo destino si sarebbe svolto in Inghilterra e per l'Inghilterra. Non le era ancora chiaro se la sua vita era il caso di legarla a qualcuno. Ma se il prezzo da pagare era quello che Maria viveva adesso, con un marito lontano, che la trascurava per guidare il paese di cui era erede al trono e sovrano, allora no, preferiva piuttosto non sposarsi mai e tenere l'Inghilterra tutta per sé.
Questa imposizione matrimoniale, da parte di Maria, favorì, invece che allontanare il nascente idillio tra la sorellastra e lord Robert; anche se Elisabetta, sconvolta in principio, voleva scappare all'estero o in qualsiasi altro posto, pur di non sposare Emanuele Filiberto o un altro sconosciuto senza amore. E, secondo certe fonti, fu proprio Robert Dudley a impedire questa impulsiva fuga della principessa.
Anni dopo, quando finalmente Elisabetta salì al trono, alla morte di Maria, nel 1558, a 25 anni, veniva considerata una delle più appetibili principesse d'Europa da principi, preferibilmente secondogeniti o che, comunque erano ansiosi di mettere le mani sul regno di Enrico VIII e annetterlo, trasformandolo a proprio piacimento, in una provincia satellite del proprio regno, se eredi al trono.
Naturalmente, tutti i pretendenti, compreso il cognato Filippo II, si premunivano già quando avanzavano la loro proposta, anticipando che la religione da professare sarebbe stata solo e unicamente il cattolicesimo. Al che Elisabetta fece sempre orecchie da mercante, grazie alla sua spregiudicata superiorità mentale e culturale: seppe, sin da subito, cosa fare per risollevare le sorti del suo paese, dopo il disastroso regno di Maria, che aveva messo in ginocchio l'economia statale.
L'11 novembre c'era stato l'ultimo rogo dei martiri protestanti, voluto da Maria, spirata il 17 e il cancelliere di stato aveva annotato solennemente, alla proclamazione della nuova regina: "Sei giorni dopo che questi furono bruciati a morte, Dio ci mandò la nostra Elisabetta".
All'annuncio di essere la nuova sovrana, la principessa era rimasta per un attimo immobile e incredula, poi si era inginocchiata, quasi senza accorgersene, mentre dalle labbra lasciava uscire le parole del Salmo CXVIII, per rendere finalmente grazie a Dio.
Robert Dudley naturalmente si lasciò invadere da una folle esultanza e si accinse a raggiungere la sua regina per darle un ulteriore prezioso dono: una splendida giumenta bianca che Elisabetta cavalcherà il giorno della sua incoronazione, sotto gli occhi di tutto il popolo esultante, quasi al fianco del suo 'zingaro', che montava, per contrasto, un focoso stallone nero.
Tutti erano in preda ad una gioia senza eguali. Tutti tranne una giovane e graziosa donna, lady Amy Dudley, che sapeva e sentiva che l'altra le stava portando via il marito.
Alla povera Amy, in quello stesso periodo, stava accadendo qualcosa. Da un po' di tempo a quella parte era iniziato a dolerle il petto. Si sentiva molto più debole; le girava la testa ed era sempre meno capace di mantenere la calma, soprattutto di fronte alle dicerie che, oramai, erano il passatempo preferito degli inglesi, dalla corte alla più sperduta e remota campagna: il rapporto di amicizia speciale della giovane regina col suo Maestro dei Cavalli, lord Dudley, conosciuto come il favorito della nuova sovrana.
Pur negando l'evidenza, la dolce Amy faceva buon viso a cattivo gioco, scusando spesso l'assenza del suo affascinante marito, non certo dovuta a trascuratezza, ma unicamente per la voglia di riscattarsi da un passato infamante come quello che lo screditava quale nipote e figlio di traditori.


Le case
Più volte Amy fu anche costretta a cambiar casa, perché Robert le propinava la scusa che non si addiceva alla moglie di un lord della corte reale, finchè non approdò a Cumnor Place, quando lei ormai sapeva già, per sua stessa confessione, che era innamorato di Elisabetta e che pensava al divorzio. Ahi, se solo la regina degli inglesi e del suo cuore avesse alzato un dito! Avrebbe potuto risolvere senza tanti problemi lo scioglimento matrimoniale e lui sarebbe accorso, certo che significava qualcosa anche per lei.

Cumnor Place, un tempo, era stata un'abbazia, infatti, al pian terreno era dotata di alti soffitti a volta, tanto per ricordare a tutti l'aria monastica che tirava un tempo. La costruzione girava attorno ad un cortile di pietra, mentre l'ala dove avrebbe alloggiato Amy dava sul terrazzo e sulla grande distesa del parco, che permetteva di godere una splendida vista sugli alberi e sul lago. Pur trovandola, tutto sommato, piacevole Amy continuava a sentire ancora un leggero senso di disagio, anche dopo aver disfatto i bagagli e sistemato le proprie cose nelle varie stanze. Non riusciva a dare una spiegazione a questa sua inquietudine, pur condividendo la grande dimora con altre persone cordiali e accoglienti, le quali non le avrebbero certo fatto mancare la compagnia e l' aiuto.
Era marzo e finalmente Amy aveva acconsentito a farsi visitare dal dottor Julio, un importante medico italiano che godeva perfino della fiducia di sua maestà. Il dottor Julio era un medico serio e qualificato, ma godeva anche della fama di buon conoscitore di veleni. Alcuni medici, da quando Amy aveva scoperto quel nodulo sotto il seno, si erano rifiutati di visitarla per paura di essere incriminati dalla sua eventuale morte, poiché correva anche voce che Robert Dudley volesse far avvelenare la moglie per sposare la regina e una visita del dottor Julio era proprio la ciliegina sulla torta, per alimentare maggiormente i pettegolezzi su cui ricamare.
Stando a ciò che entrambi i romanzi di Philippa Gregory e di Constance Heaven riportano, il dottor Julio non collaborò alla morte di Amy Robsart, perché il tipo di male da cui era affetta la giovane donna, portava all'assottigliamento delle ossa del collo ed erano già molte le giovani donne che il medico italiano aveva visto morire, il più delle volte, non in modo naturale, ma a causa di una caduta accidentale. Chi per una caduta da cavallo, cosa che, in genere, provocava solo qualche contusione, finendo, invece, per morire col collo spezzato; chi per un semplice ruzzolone giù da qualche gradino…E lady Dudley presentava tutte queste caratteristiche, per il dottor Julio, il quale si ripromise di fare il possibile, se non per salvarla, almeno per alleviarle il dolore.
Amy, dal canto suo, non volendo dare ascolto alle chiacchiere che circolavano, né fidandosi più del marito, depose le fiale che il medico le aveva fatto recapitare, in fondo ad una cassapanca sotto la sua biancheria senza dire niente a nessuno, sospettando, suo malgrado, in fondo al cuore Robert, in quel periodo in giro con la regina per un viaggio nel Norfolk e a Oxford, da dove avrebbero fatto visita ad Henry Norris e a sua moglie a Rycote, amici di Elisabetta già dai tempi bui passati come prigioniera a Woodstock.
Fatto sta, comunque, che Amy approfittando della fiera di Abingdon preferì restar sola, rassicurando tutti che lei non si sentiva troppo bene e per la sua salute era meglio che fosse rimasta a casa, per cui esonerò tutti dal farle compagnia per accudirla, qualora avesse avuto bisogno.
Partita la domenica mattina di buon umore, l'allegra compagnia di gentildonne, a cui si era unita anche Jennet, la serva di Amy, la giovane era rimasta finalmente sola…

Più tardi il corpo di Lady Dudley fu rinvenuto da due servi rientrati per primi. Amy Robsart giaceva ai piedi della ripida scaletta di pietra (di sei-sette gradini), che scendeva al pian terreno, formando una curva…con l'osso del collo spezzato, la gonna che copriva compostamente le gambe e il cappuccio ben sistemato sulla testa, simile ad una bambina graziosamente addormentata.


Le due tesi
E' arcinoto, ormai, che la maggior parte dei sospetti ricadde sul marito di Amy, lord Robert Dudley, sul quale si vociferava che volesse in qualche modo togliere di mezzo la moglie per sposare la regina.
Fatalità? Suicidio? Assassinio? Ancora oggi, a distanza di oltre 500 anni, questo avvenimento è ancora avvolto nel più fitto mistero.
In ciascun romanzo si fa una congettura e si propone una tesi tra le quali la più verosimile, a mio avviso, risulta essere più credibilmente probabile quella della Gregory, contenuta in L'AMANTE DELLA REGINA VERGINE, a causa di alcune circostanze ben analizzate nel libro, che l'autrice stessa definisce "resoconto romanzato".

Philippa Gregory ipotizza che Amy Robsart fu uccisa da qualche mandante ad opera di Elisabetta e del suo fidatissimo consigliere William Cecil, il quale, come tanti a corte, non vedeva di buon occhio l'influenza che Dudley aveva sulla regina, e la possibilità che questi potesse diventare re.
Ma causa di malcontento era soprattutto lo smisurato potere che il giovane favorito stava acquisendo presso la sovrana, a discapito di molti altri ambiziosi cortigiani che aspiravano a una qualunque promozione, pur di farsi notare. E questo Dudley, da come viene descritto dalla scrittrice, era piuttosto esigente e manipolava a proprio piacimento una giovane e ingenua regina che, tutto sembra, fuori che la scaltra, intelligente e colta Elisabetta che la storia ci ha tramandato.
Dalla penna della Gregory la figura di Elisabetta viene fuori come quella una donnetta piagnucolante e sognatrice, che non pensa altro che all'amore e al suo amante; a soddisfare la vanità femminile con lussuosi vestiti, contornandosi, contemporaneamente, di artisti e musici che la tenevano allegra e spensieratamente lontana dalla difficile realtà politica appena ereditata dopo il disastroso regno di Maria, lasciando l'Inghilterra alla mercè di sé stessa e nelle mani di uomini più o meno in gamba come William Cecil.

Ne La regina e lo zingaro, l'altro romanzo analizzato, Constance Heaven, invece, ci restituisce un'immagine di Elisabetta ancor più precisa e fedele di quella che ci ha tramandato la storia. E' l'immagine di una donna forte, astuta e intelligente, completamente fuori dagli schemi dell'epoca. Troviamo, infatti, un' Elisabetta fragile, ma pur consapevole del fatto che l'Inghilterra, ereditata alla morte della sorella, è una nazione politicamente ed economicamente provata, messa ulteriormente in ginocchio dall' inutile guerra con la Francia, che aveva solo prosciugato le casse dello stato e portato via l'ultimo dei sogni rimasti in terra francese, Calais, col suo prezioso approdo, ingresso in una nazione che continuerà ad essere nemica storica dell'Inghilterra.

Se fin qui la Heaven è stata molto più credibile della Gregory riguardo alla figura della sovrana inglese, lo è meno, a mio avviso, riguardo alla morte di Amy Robsart.
Pur seguendo un rigore storico ineccepibile rispetto alla Gregory, la Heaven imputa la morte della giovane donna ad un suicidio volontario, per non esser più d'intralcio all'amore del marito, ormai definitivamente assente e perso per una rivale ben più potente e temibile.
L'autrice propone questa tesi in base alle "accuse non dimostrate…contro Robert nell'infamante Leyester's Commonwealth; su una non comprovata accusa mossagli dal fratellastro di Amy, John Appleyard, sette anni dopo la morte di lei, e su indagini mediche più recenti" (p. 281).

Entrambe le tesi dei due romanzi scagionano Dudley.
La Gregory sostiene che il giovane favorito, essendo malvisto da Cecil, il consigliere di Elisabetta, era stato vittima di un raggiro da parte sua, con il beneplacito dell'amata, che si era lasciata finalmente convincere a non farsi più dominare da Robert e dai suoi sentimenti per lui. Ma sappiamo, dalle fonti dell'epoca, che Elisabetta era tutto fuorché una testa vuota e che non aveva certo bisogno di un marito per governare e prendere decisioni: lo dimostra il palese fatto che non intese mai sposarsi. Il suo sposo, sosteneva, era il trono d'Inghilterra e i suoi figli, il popolo che l'adorava. E questo la Heaven, lo descrive assai bene, pur imputando l'intenzione di uccidere la moglie di Dudley a qualche acerrimo nemico del gentiluomo, al fine di infangare la sua figura e di ostacolarne l'ascesa al trono. Che poi Amy Robsart sia morta volontariamente o meno, questa, ripeto, è una congettura dell'autrice.


Conclusioni
E la storia tra Robert ed Elisabetta come andò a finire?
Entrambe le autrici rispondono a questo interrogativo in due modi diversi.
La Heaven lo fa inserendo un epilogo, alla fine del romanzo, datato 1588.
Elisabetta è barricata in camera sua per condividere unicamente con sé stessa, il dolore della perdita dell' unico uomo che avesse mai amato. Dopo più di trent'anni e i tre matrimoni di lui - tra cui il più lungo proprio con la cugina di Elisabetta, l'avvenente e intraprendente Lettice Knollys - Robert, che le era rimasto fedele col cuore, pensò di inviare la sua estrema lettera (anche se solo un ringraziamento per le medicine che lei gli aveva inviato) a lei, la sola, la vera regina del suo cuore, sua maestà, la regina d'Inghilterra.
E' storicamente accertato, infatti, che Elisabetta, il giorno che apprese la morte del favorito, si chiuse effettivamente a chiave nella sua camera da letto, con disperazione (e tanto rumore) dei cortigiani, i quali, da fuori, bussavano ansiosamente alla porta per farsi aprire poiché temevano, in primis William Cecil, un suicidio reale, cosa che la sovrana non ebbe mai intenzione di commettere. Li lasciò, invece, implorare da lì, mentre lei, ormai, avanti negli anni, riponeva con calma e mestizia, la preziosa missiva nel cofanetto d'oro vicino al suo letto, nel quale vi era deposto anche il ritratto di Robert da giovane. Ma prima di riporla vi scrisse su: "His last letter", poi chiuso lo scrigno lo rimise dov'era sempre stato.
Alla sua morte, infatti, questa lettera fu trovata dove lei l'aveva lasciata e solo allora tutto il mondo fu certo dell'amore sincero che la grande sovrana nutrì per il suo bel favorito, pur amando farsi definire la regina vergine a causa della sua perenne nubiltà.

La Gregory, invece, include si, questo particolare, ma lo fa mediante una postilla in cui spiega anche cosa l' ha portata a supporre la tesi sulla morte di Amy Robsart, grazie alla ricerca storiografica che ha condotto.


Bibliografia
- L'AMANTE DELLA REGINA VERGINE, Philippa Gregory, Sperling & Kupfer, Milano, 2006.
- LA REGINA E LO ZINGARO, Oscar Mondadori, Milano, 1983

8 commenti:

  1. Ciao Lena... buongiorno... , ...sì...ora va bene... ma in questa tua pagina dovresti eliminare la copia che ti è rimasta appicicata sotto e poi... (ricorda di caricare delle immagini che abbiano poco peso...penso che l'ottimale sarebbe che avessero circa 20-30 kb..perchè anche io devo ridurre le dimensioni da qualche parte)... , ...sono appena alzato....scusa la confusione... mandi mandi ...Loris....

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  2. ......ma sei proprio innamorata della regina !!!!

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  3. "Scoiattolino"....ma che tenerezza....Sempre perfetta! Buona serata e buon week-end, ciaoooooo.

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  4. Ciao Lena , ci stiamo rincorrendo!!!....io ti cercavo su Ciao....invece eri da me a mangiarti le castagnole e i fiocchetti !!!!........bentornata a leggere....ora che ti ho trovato ti lascio la mia buonanotte ...ciao a domani........bacione

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  5. Buon giorno Lena...che il sole ti accomapgni sempre... ho letto della tua corona...complimenti...e auguri... per ogni cosa , ..mandi mandi ...Loris...

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