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mercoledì 26 dicembre 2007

IL CANTORE DI TRIESTE

Il Cantore di Trieste

Questo umile e confidenziale tributo alla poesia di Umberto Saba, limitatamente ai componimenti riguardanti Trieste, sua città natale, è solo una personalissima disamina del riscontro emotivo provato in occasione dell'incontro con la sublime poesia di questo grande poeta.


Preambolo
Mi innamorai di Trieste, pur senza averla mai vista, sin dai tempi dell'università, quando studiavo per l'esame scritto, preliminare da superare, per accedere al primo esame ufficiale orale di Letteratura Italiana. C'era da studiare tanto: in una sola volta bisognava portare tutta la storia della letteratura dei cinque anni di scuola superiore, più la parafrasi di parecchi brani poetici (tra cui quelli di Saba), la metrica, la retorica dei suddetti, oltre a parecchie altre cose.
Amando moltissimo la nostra grande e bella letteratura però, per me, fu anche un immenso piacere farlo. Umberto Saba, poi, era sempre stato tra i miei poeti preferiti dell' ‘800-‘900, insieme a Leopardi, Pascoli e Montale, ma non avevo mai avuto occasione di approfondirlo prima, essendo uno degli autori che, alle superiori, si studia sempre verso la fine dell'anno scolastico e si fa solo se c'è tempo, al massimo si tratta di Ungaretti, l'altro grande poeta-soldato, ma per Saba non ci sono speranze, se si fa, è sempre in modo spiccio e superficiale.
Avuta quindi l'opportunità di approfondirlo, anche se per obbligo, all'università, devo confessare che lo affrontai con vera gioia. E mi piacquero immensamente quelle descrizioni minuziose sulla sua tanto amata Trieste, le viuzze, il porto, la folla al mercato della città vecchia coi suoi pittoreschi personaggi e la sua << scontrosa grazia >>. Leggendo quelle poesie mi è sembrato di viverle di persona e di essere io, colei che stava a guardare quello spettacolo che toccava e faceva vibrare le corde del mio essere e del mio cuore. Ancora adesso, a distanza di anni da quell'esame, rileggere i versi sabiani su Trieste, mi provoca la stessa emozione di allora, tanto che è ormai divenuta una consuetudine.
E come non innamorarsi di un poeta che scrive versi del genere?

…. tormento oscuro
nel sognatore,
che accendendosi già le prime stelle,
qualche lume per via,
sale pensoso di chi sa che amore
e che strazio la lunga erta sassosa
della collina,
dove le case con la chiesa in cima
paion balocchi; la città operosa
sfuma nell'orizzonte ancora acceso;
ed il suo orgoglio ingigantisce, leso
dalla vita, vicino alla follia.
(Da MALINCONIA AMOROSA, in TRIESTE E UNA DONNA).

Per parlare di Trieste, però, attraverso i versi meravigliosi di questo grande poeta, così poco ricordato, bisogna, innanzi tutto, leggere le sue poesie, in particolare, quelle riunite nella raccolta TRIESTE E UNA DONNA, oltre a fare una panoramica biografica dei motivi che portarono Saba a descrivere la sua città.


L' uomo e il poeta

Umberto Saba nacque a Trieste il 9 marzo 1883. La madre, Felicita Rachele Coen, ebrea, appartenente ad una famiglia di piccoli commercianti, sposò Ugo Edoardo Poli, un vedovo di 40 anni, già padre di una bambina, che sopravviveva vendendo mobili, discendente da un' antica e nobile famiglia veneziana, gli Arrivabene, grazie ad un matrimonio combinato. Per 4000 fiorini lo "sciagurato" - come lo appellerà, in seguito, il poeta - si fece addirittura circoncidere e cambiò cognome, mentre, prima ancora che nascesse il figlio, abbandonò la moglie, per tornare alla vita gaia e spensierata di un tempo, finendo addirittura in prigione per lesa maestà, periodo coincidente con la nascita di Saba. Ciononostante, fu proprio grazie a quel "padre assassino", che il poeta ottenne la cittadinanza italiana, pur essendo nato nella Trieste dell' impero austro-ungarico.
Dopo l'abbandono del marito, la madre, rimasta sola e priva di mezzi di sostentamento, affidò il bambino ad una balia per tre anni. A lei, la seconda madre, "madre di gioia", Umberto resterà sempre grato e fedele, ricordandola spesso come custode di un paradiso perduto, nei versi di CUOR
MORITURO e del SONETTO DEL PARADISO.
La balia, una contadina slovena di nome Peppa Sabaz, avendo perso il proprio figlio, riversò, sul piccolo affidatole, tutto l'affetto e la tenerezza materna che avrebbe voluto donare al suo defunto. Senonché Umberto, più tardi, proprio per la riconoscenza nei suoi confronti, rifiutando apriori la propria paternità, cambierà il cognome Poli in quello di Saba, rendendo omaggio ad entrambe le madri, la nutrice, che si chiamava Sabaz e la naturale, ebrea, perché in ebraico la parola saba vuol dire pane.
Trascorsa l'infanzia poco felicemente, sempre privo della figura paterna e succube dell'amore per la madre naturale, piuttosto severa e austera (che lo pregherà di “non somigliare al padre”), si iscrisse al ginnasio che abbandonò poco dopo, demotivato dagli scarsi profitti scolastici, per frequentare l'Imperial Regia Accademia di Commercio e Nautica, ma, anche questa, solo per poco: si impiegò, infatti, in un'azienda commerciale e, successivamente, partì su un mercantile in qualità di mozzo.

Fin dagli anni dell'adolescenza, la poesia viene vissuta come una sorta di riscatto, una riparazione “per scontare la condanna inscritta negli ‘auspici funesti’, che avevano presieduto la nascita”. (N. Palmieri, introduzione al Canzoniere, p. XI Ed. Mondolibri- Einaudi).
In questo periodo si forma una discreta cultura letteraria da autodidatta. I suoi amori poetici si indirizzano verso Leopardi, a cui resterà sempre debitore lungo tutta la sua carriera poetica, insieme a Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Foscolo e Manzoni, e in parte D'Annunzio (di cui ammirò, in particolare, il testo intimistico e precrepuscolare del POEMA PARADISIACO (fonte: la Rete).
La madre non si mostrò mai tenera verso quell' inclinazione poetica del figlio: temeva che il suo Umberto diventasse un poeta, cosa che invece, per la fortuna di noi posteri, accadde donandoci tanta gioia con la sua straordinaria opera.
Pur avversando questa tendenza, comunque, la madre, lo indirizzò, malgrado sé, verso la poesia del Parini, vista come più costruttiva oltre che per contrastare la sua vena già così pessimista e malinconica.
L'unica, in famiglia, che capì il valore di quel ragazzo taciturno e scontroso, fu la zia materna, Regina, "dalla dolce anima di formica", la quale aveva accolto nella sua casa la sorella Rachele, dopo il precoce abbandono del marito.
Nonostante l'incoraggiamento della zia e dei pochi amici, il malinconico adolescente Saba, sarà sempre condizionato dal suo senso di inadeguatezza, oltre che dalla convinzione di non riuscire a tirare fuori il suo cruccio e ad esprimere a pieno la sua vena creativa, tanto meno l’esser compreso. Scriverà, infatti, nel 1902, a 19 anni, all'amico Amedeo Tedeschi: “Oggi sto meglio, soffro però di una grande smania creativa, ed anche nei momenti di vera gioia ho il presentimento sicuro che tutto quanto ho fatto o farò non verrà mai compreso se non dopo la mia morte, la quale, non per ambizione, ma per stanchezza di soffrire, desidero ardentemente che mi colga fra breve. Allora appena comprenderanno che io non aveva allo scrivere una semplice vocazione”. ( Ibidem, p. XI).
Saba, infatti, continuerà sempre a ricercare l'origine virulenta del suo isolamento, nella poesia e negli scritti critici riconoscendoli nell'arretratezza dell'ambiente culturale triestino di fine ‘800, nella famiglia divisa in cui era cresciuto e nelle sue origini ebraiche. Scrisse, infatti, nella STORIA E CRONISTORIA DEL CANZONIERE a p. 115, che la conseguenza delle sue origini triestine aveva dato il risultato di fare di lui un arretrato, perché, culturalmente, chi nasceva nella Trieste del 1883 era come esser nato altrove, ma nel 1850. L'Italia, lamentava Saba, in quel periodo, stava vivendo, di pari passo con il resto del mondo, esperienze stilistiche di ogni genere, mentre il mondo culturale triestino era ancora fermo al periodo risorgimentale, facendo di Trieste, una città romantica. Era, quella, l'epoca di Svevo, Slataper e Stuparich, che si lamentavano dell'arretratezza di Trieste, fino a costituire un topos nella letteratura triestina fra i secoli XIX e XX.
L'anno dopo la lettera al Tedeschi, di cui sopra, nel 1903, si inizierà a manifestare la malattia nervosa del poeta, una nevrosi d'angoscia, come venne definita all'epoca, (che lo accompagnerà per tutta la vita a fasi alterne), ma che, attualmente, definiremmo una comune depressione infantile, causa dei conflitti psicologici originatisi dall'abbandono paterno, quel padre pur tanto amato, ma anche tanto odiato, per il rifiuto nei suoi confronti, e per le pressanti richieste di una madre che non voleva assolutamente un figlio somigliante all'uomo che l'aveva abbandonata.
Le prime manifestazioni si noteranno a Pisa, dove si era trasferito per il completamento della propria formazione letteraria. Il disturbo fu generato dal timore, infondato, che un amico violinista, Ugo Chiesa, volesse vendicarsi di lui per gelosia (in quel periodo il poeta corrispondeva con la fidanzata a Trieste), “denunciandolo per alcuni versi antiasburgici, scritti anni prima”. (Ibidem, p. XII), intitolati LA SERA, uno dei pochi esperimenti poetici del Saba ventenne, che col tempo, diverrà il simbolo, secondo l'autore stesso, della conclusione della sua adolescenza poetica. Durante i successivi soggiorni fiorentini del 1905 e del 1911, pur essendo in contatto con alcuni circoli letterari e intellettuali (della rivista LA VOCE), soffrirà sempre di senso di solitudine, oltre a credersi continuamente circondato dall'incomprensione.

Gli anni della leva
Gli anni della leva a Monte Oliveto e Salerno, tra il 1907 e il 1908, saranno rievocati nei versi militari, oltre che nei sonetti dell'AUTOBIOGRAFIA, nei quali è delineato in maniera precisa e concreta, quell'isolamento creatosi dal "dono" ricevuto dal padre, chiaramente espresso ne:

IL SOGNO DI UN COSCRITTO
Ero là coi miei nuovi compagni;
là con essi seduto ad un'ingombra
tavola, quando un'ombra
scese in me, che la mia vita lontana
tenne, con la sua forza, con le sue
pene, da quel tumulto vespertino.
Centellinavo attonito i miei due
soldi di vino.

E' evidente, qui, il senso di estraneità dal resto del gruppo, così come il senso di appartenenza. Il giovane poeta militare è consapevole di appartenere ad un'altra razza, ad un'altra famiglia e lo esprime lucidamente come una fatale condanna, da cui non si potrà mai più liberare. Questo strano senso di impotenza, mai combattuta, ha avvicinato, il nome del giovane poeta autodidatta, a quello del più famoso Kafka, nella mente dei più acuti commentatori, come Debenedetti. Il mezzo ebreo triestino, era visto dal critico, in una situazione simile: le situazioni di cronaca poetica e sentimentale di Saba erano “le medesime premesse che Kafka, ebreo della Mitteleuropa, tiene introvertite nelle sue fiabe psichiche” (G. Debenedetti, Intermezzo, Mondadori, 1963, pp. 40-41).
Mentre Saba si spiegava così: “La poesia condanna chi la pratica all'isolamento, anche se alimenta un inesausto, tormentoso desiderio di integrazione”. (M. Lavagetto, La gallina di Saba, Einaudi, 1989, pp. 59-60).


La Donna di Saba
Nel 1905 il giovane poeta Umberto aveva conosciuto Carolina Wolfer, poi detta Lina, durante una breve licenza a Trieste, nel periodo salernitano. Il 28 febbraio1909, durante la ferma del congedo militare, la sposò e il 24 gennaio 1910 nacque la sua unica, amatissima figlia Paolina, detta Linuccia.
La zia Regina regalò ai due sposi, per il viaggio di nozze, una certa somma di denaro, che venne però impiegata, di comune accordo, per stampare il primo volume di versi (POESIE), su cui, per la prima volta, l'autore non si firmò più Umberto Poli, bensì Umberto Saba, pseudonimo che da allora userà sempre.
Nella raccolta pubblicata erano presenti i VERSI MILITARI (1907-08), e i versi d'amore, in cui la figura centrale è Lina, la moglie, affiancata dall'immagine materna (A MAMMA).
Questa raccolta si chiude con la famosa poesia studiata sin tra i banchi delle elementari (nei programmi pre-Moratti): A MIA MOGLIE. In questi versi felicissimi il poeta associa e, quasi identifica, l'essere umano (Lina) con gli animali più umili e mansueti dell'esperienza quotidiana:

Tu sei come una giovane,
una bianca pollastra;
le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell'andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull'erba
pettoruta e superba………

E' come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio. ………

Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la sua carne………

Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore………

Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l'angusta
gabbia ritta al vederti
s'alza...

A questi versi Saba, tempo dopo, allegò un commento spiegando che la suddetta poesia, in occasione della pubblicazione, aveva suscitato allegre risate poiché risultava strano “che un uomo scrivesse una poesia per paragonare sua moglie a tutti gli animali della creazione… Ma nessuna intenzione di scandalizzare, - continuava - nemmeno di sorprendere… La poesia ricorda piuttosto una poesia "religiosa"; fu scritta come altri reciterebbe una preghiera. Ed oggi infatti la si può nominare o leggere in qualunque ambiente, senza la preoccupazione di suscitare riso…Pensiamo che sia una poesia ‘infantile’” (U. Saba, STORIA E CRONISTORIA DEL CANZONIERE, p. 140).
Se A MIA MOGLIE oggi è, forse, la poesia più famosa di Saba, i versi su Trieste la seguono subito dopo.

Nel 1911 i coniugi Saba attraversarono una grave crisi, scoppiata perché Lina accusava il marito di essere sempre distante e chiuso in sé stesso, atteggiamento che la portò al gesto estremo di abbandonarlo.
Se questa crisi danneggiò il loro rapporto di coppia, fu invece fertile per la creatività del poeta, poiché diede vita ai versi raccolti in COI MIEI OCCHI. IL MIO SECONDO LIBRO DI VERSI.
Da poco era iniziata la collaborazione con la rivista Riviera Ligure, mentre procedeva, insistente, la richiesta della pubblicazione su La Voce di Prezzolini. La qual cosa si realizzerà, nel 1912, coi NUOVI VERSI ALLA LINA, a spese dell'autore. Insieme a queste due raccolte venne aggiunta una terza inedita, TRIESTE E UNA DONNA.


Trieste e una donna
Siete mai stati a Trieste? No? Nessun problema allora, perché ci penserà il nostro caro poeta a guidarvi per i vicoletti e il porto della città vecchia. Ve lo mostrerà attraverso i magici versi della sua ineguagliabile poesia. Si, perché le composizioni poetiche di questo grande triestino sono talmente limpide e chiare, da essere trasparenti, come le acque dell'Adriatico, che bagnano quella splendida costa, oltre ad avere un pregio molto raro in uno scrittore-poeta: quello di rendere esplicito e trasmettere, così com'è, il quadro esatto della scena che è sotto gli occhi, compreso di paesaggio, mediante ‘semplici’ versi.

Leggendo le poesie di Saba su Trieste, a chi già conosce questa città, può accadere di vivere quasi un deja-vu. A chi non ha ancora avuto occasione di visitarla nel suo splendore, leggendo prima questi versi, potrà farsi un'idea molto precisa di essa e delle sue caratteristiche e vivrà il deja-vu in pieno, quando la vedrà, sentendosi disorientato di fronte ad una sensazione così forte e spiazzante, tanto da chiedersi se è davvero lì per la prima volta, oppure, le emozioni che avverte, sono dettate da vecchi ricordi accantonati nella soffitta della memoria.


E ci siamo, finalmente, ai versi dedicati a questa splendida città decantata e inneggiata da un figlio così innamorato.
Nell'Autobiografia, Saba scriverà dei versi di TRIESTE E UNA DONNA, che sono i suoi due amori: Trieste è la città, Lina è la donna. Chiarirà, quindi: “Qui la città e la donna assumono per la prima volta i loro inconfondibili aspetti; e sono amate appunto per quello che hanno di proprio e di inconfondibile. TRIESTE è la prima poesia che attesta la volontà di Saba di cantare Trieste, non solo più in quanto città natale”.
La "giovane e bianca pollastra" dei VERSI MILITARI, diviene in questa nuova raccolta, la regina, la figura femminile predominante; se prima Lina era solo un nome, adesso è, certamente, la più importante e le viene concesso il perdono, quasi obbligato, per quell' impulsivo abbandono.
Solo diversi anni dopo il fertile incontro con la psicoanalisi, Saba sarà in grado di collocare, sotto la giusta luce, la strana ambivalenza che caratterizzerà il suo amore per la moglie.
Del "romanzetto autobiografico", come definì Saba stesso TRIESTE E UNA DONNA, l'altro personaggio predominante è Trieste, con la sua "scontrosa grazia".
Ma adesso lasciamo che a parlare sia proprio lui, mediante i magici versi che seguono:


TRIESTE
Ho attraversata tutta la città
poi ho salito un'erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.

Non sembra un' immagine chiarissima, questa? Il poeta che sale a piedi una ripida viuzza, tipica di un ambiente di montagna, e, raggiunta la cima protetta e silenziosa, siede a mirare il paesaggio che si stende ai suoi piedi, da dove inizia, fin dove finisce.
E' implicito, suppongo, che tutto ciò, unito alla pace e alla tranquillità della vetta, trasmetta un senso di sollievo alle ferite dell’anima e di appagamento al cuore del poeta, proprio come al mio quando leggo i suoi versi.

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore…

Trieste è vissuta come un adolescente goffo e sgraziato, ancora incapace di una consapevole gentilezza, aspetto che si ripeterà in un altro componimento della stessa raccolta, VERSO CASA, quando la paragonerà ad un ragazzo, venuto su, pur nella sua virilità adolescenziale, senza che nessuna guida lo formasse. E' riconoscibile, in questa immagine, anche l'adolescente che Saba era stato, ragazzo un po' imbranato e senza guida, aspro e vorace di affetto paterno, sempre negatogli, dal carattere chiuso e un po' scorbutico.

Trieste, nova città,
che tiene d'una maschia adolescenza,
che di tra il mare e i duri colli senza
forma e misura crebbe…

Il tema del mare poi è onnipresente e sempre affiancato a quello dei duri e aspri colli che caratterizzano la città. Se in VERSO CASA aveva paragonato Trieste all'adolescente informe, in TRIESTE la descriverà così:

Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
o alla collina cui sulla sassosa
cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa...

quindi il poeta s'impadronisce del panorama appena descritto:

Intorno
circola ad ogni cosa
un'aria strana, un'aria tormentosa,
l'aria natìa.
La mia città che in ogni parte è viva
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.

Il cuore si aprirà maggiormente, invece, quando si proseguirà nella lettura di CITTA' VECCHIA e ci si ritroverà di fronte ad una serie di versi che descrivono talmente bene la scena che si svolge, da poterne fare un quadro. Forse Saba, incantato da qualche scena di vita pittoresca della sua città, immortalata su tela, ha opportunamente pensato di metterla su carta, descrivendola mediante i suoi insuperabili versi.


CITTA' VECCHIA
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia…
Qui tra la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove sono merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.

Osservate, la genialità intrinseca di questi versi dall'aria apparentemente semplice, i quali continuano la descrizione fedele di cosa il poeta ha sotto gli occhi.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.

Il quadro della scena di vita descritta da Saba, si è fatto, qui, più concreto e particolareggiato: in pochi, sintetici versi sono stati messi, nero su bianco, tutti i particolari della parte vecchia di Trieste, quella col porto vicino al molo Audace.
Un tale spaccato di vita consente al poeta di farne un vero e proprio inno concludentesi in modo paradossale: dove tanto più gli aspetti della vita si presentano più loschi e brutali, agli occhi dell'autore, tanto più il pensiero, di fronte ad essi, acquista la capacità di elevarsi allo stato più puro.

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la vita.

Il tema del porto e del mare è ripreso ancora, in TRIESTE E UNA DONNA, nel componimento intitolato IL MOLO, luogo più fidato al mondo, dove il poeta non si sente più solo.
Il molo in questione, qui è sempre l'Audace, ma con il nome conosciuto all’epoca, porto sempre molto movimentato e pulsante di vita: è il

MOLO SAN CARLO
Per me al mondo non v'ha un più caro e fido
luogo di questo. Dove mai più solo
mi sento e in buona compagnia che al molo
San Carlo, e più mi piace l'onda e il lido?

E' questo un luogo pregno di ricordi d'infanzia del poeta, dove tutto sembra immutato e cristallizzato: ci sono i garzoni che si aggirano e aspettano il momento di partire; i sacchi sulla tolda, le casse a bordo di un veliero, tutto esattamente come tanto tempo prima.
Ma lasciamo Saba decantare il molo San Carlo attraverso i suoi stessi nostalgici versi:

Vedo navi il cui nome è già un ricordo
d'infanzia. Come allor torbidi e fiacchi
- forse aspettando dell'imbarco l'ora -
i garzoni s' aggirano; quei sacchi
su quella tolda, quelle casse a bordo
di quel veliero, eran principio un giorno
di gran ricchezze, onde stupita avrei
l' accolta folla e un lieto mio ritorno
di bei doni donati i fidi miei.

Saba immaginava, da ragazzo, di tornare, un giorno, da un lungo viaggio e di scendere da un veliero carico di ricchezze da donare ai suoi.
Ma ora, da adulto, non auspica più ad un tale ritorno. Non lascerebbe più l'estrema e amata sponda d'Italia, che si intravede dal molo S. Carlo, perché adesso si sente più che mai legato alla sua terra, ancora tormentata dalla guerra. Amore, il cui senso di appartenenza, è testimoniato praticamente così:

Non per tale un ritorno or lascerei
molo San Carlo, quest' estrema sponda
d'Italia, ove la vita è ancora guerra;
non so, fuori di lei pensar gioconda
l'opera, i giorni miei quasi felici,
così ben profondate ho le radici
nella mia terra.

Se vogliamo proseguire con un percorso panoramico di Trieste, guidati sempre dai magici versi del nostro poeta, potremo farlo attraverso altri due componimenti appartenenti sempre alla raccolta TRIESTE E UNA DONNA.

La prima, TRE VIE, è l'illustrazione di alcune vie della città, a cui il poeta era più affezionato. La prima di queste è Via del Lazzaretto Vecchio, specchio della sua tristezza, con i suoi magazzini desolati, emananti odori di droghe e di catrame. Ha un' unica nota di allegrezza: il mare, alle sue estremità.
La seconda via che s'inerpica con le sue “bellezze di cielo e contrada” è Via del Monte, luogo bello ma triste, tanto caro al poeta, che ha sepolti i suoi cari, nel vecchio cimitero ebraico delle vicinanze, oltre ad una sinagoga con cui ha inizio la via.
Ma se Via del Monte è “la via dei santi affetti”, la via della gioia e dell'amore resta sempre Via Domenico Rossetti, verde contrada suburbana, che risente sempre più del richiamo della città. Questa via, ai tempi di Saba, conservava ancora il suo fascino originario di zona di elite, dove i ricchi si erano costruiti la villa di campagna, le quali ville, nelle sere d'estate, passeggiando, era possibile ammirare con le finestre aperte vicino cui era sempre visibile qualche donzella che cuciva o leggeva.
La bellezza di questa poesia sta proprio nel crescendo di emozioni e sentimenti, dapprima lugubri, rispecchiantisi in Via del Lazzaretto Vecchio; poi più pacati e tristi, dai toni più smorzati, con Via del Monte; progressivamente più allegri e forieri di speranza con Via Domenico Rossetti, la via dell'amore per eccellenza, a Trieste, secondo Saba.

Questo percorso potrebbe idealmente continuare con l'altra poesia presa in considerazione, VIA DELLA PIETA', ma a chi volesse proseguire il percorso triestino, attraverso i versi sabiani, consiglio vivamente di leggere IL CANZONIERE, dove sono raccolti tutti i suoi componimenti poetici dal 1900 al 1954.
La POETICA di questo splendido autore è limpida e cristallina, di piacevole lettura, largamente autobiografica (ha perfino scritto dei componimenti sui canarini!), godibilissima come un romanzo in prosa e, per questa sua caratteristica, potrebbe riuscire gradita anche a coloro che sono a digiuno di poesia. E' talmente delicata e precisa da renderla insuperabile e imparagonabile perfino di fronte ad autori più famosi e gettonati, come D'Annunzio.
Bisogna provare a leggere Saba, perché, sono sicura, nessuno se ne pentirà o, almeno, si potrebbe iniziare già solo con la magia di TRIESTE E UNA DONNA


Conclusioni
Questo personalissimo contributo alla poesia "triestina" di Saba, non ha mai avuto la pretesa di andare oltre il periodo giovanile, per cui, per concludere, mi sembra doveroso aggiungere solo i dati biografici che succedettero a TRIESTE E UNA DONNA (1912).

Avevo accennato alla "malattia" che perseguitò il poeta, la nevrosi d'angoscia, cosa che curò, finalmente, alla fine degli anni '20, con Edoardo Weiss, discepolo diretto di Freud, incontro che lo aiutò a conoscere meglio le sue ossessioni e a saperle isolare, per poi purificarle, come sostenne Michael David (1966). Da quel momento Saba, sempre secondo il critico, seppe trovare, con maggior facilità, il centro della ferita su cui agire con il bisturi della poesia, fino ad ottenere i risultati che conosciamo e che amiamo. Il resto della vita è ormai arcinoto.

Dopo aver aperto, a conclusione della prima guerra mondiale, una piccola libreria antiquaria, che gestirà per tutta la vita, nel 1928, la rivista letteraria Solaria gli dedicherà un intero numero, omaggiato dai saggi di Solmi, Montale e Debenedetti.
Nel 1938, pur avendo partecipato alla prima guerra mondiale come soldato italiano, Saba fu costretto a lasciare Trieste, con la famiglia, a causa delle sue origini ebraiche, per riparare dapprima a Parigi, poi a Roma, sotto la protezione di Ungaretti, successivamente a Firenze, ospite di Montale, durante il cui periodo, pur vivendo in condizioni difficilissime, scrisse, in clandestinità, la prima parte di STORIA E CRONISTORIA DEL CANZONIERE, pubblicato poi alla fine del 1948, portando a termine, inoltre, le poesie raccolte in 1944, tra i cui testi, uno dei più famosi è IL TEATRO DEGLI ARTIGIANELLI, sul passaggio dell'Istria alla Croazia, che riporto qui, in quanto simbolo del disorientamento e dell'amarezza che accompagnò, in quegli anni, e tuttora accompagna, gli esuli di un tempo e i loro discendenti.

Falce martello e la stella d'Italia
Ornano nuovi la sala. Ma quanto
dolore per quel segno su quel muro!

Entra, sorretto dalle grucce, il Prologo.
Saluta al pugno; dice sue parole
perché le donne ridano e i fanciulli
che affollano la povera platea.
Dice, timido ancora, dell'idea
che gli animi affratella; chiude: “E adesso
faccio come i tedeschi: mi ritiro”.
Tra un atto e l'altro, alla Cantina, in giro
rosseggia parco ai bicchieri l'amico
dell'uomo, cui rimargina ferite,
gli chiude solchi dolorosi; alcuno
venuto qui da spaventosi esigli,
si scalda a lui come chi ha freddo al sole.

Questo è il Teatro degli Artigianelli,
quale lo vide il poeta nel mille
novecentoquarantaquattro, un giorno
di Settembre, che a tratti
rombava ancora il cannone, e Firenze
taceva, assorta nelle sue rovine.

Gli anni successivi saranno caratterizzati da tristezza e malinconia, pur avendo ottenuto grossi riconoscimenti come la laurea honoris causa nel 1953, dall'Università di Roma, in occasione dei suoi 70 anni.
Nel '54, costretto a stare fermo, avendo perduto quasi del tutto l'uso delle gambe, venne ricoverato d'urgenza all'ospedale di Trieste. La moglie Lina, già gravemente malata, era morta il 25 novembre 1956, lasciando nel marito e nella figlia Linuccia, un vuoto incolmabile, che portò il poeta a contemplare l'idea del suicidio, cosa che non compirà mai, perché la morte lo coglierà prima, esattamente il 25 agosto 1957, appena nove mesi dopo Lina.
Dal giorno della morte della moglie, fino alla sua, Saba non scrisse più in versi. Lasciò, come testimonianze, solo lettere e un romanzo incompiuto, dal titolo ERNESTO, il cui luogo di ambientazione è, prevedibilmente, Trieste, con la sua atmosfera tipica “resa in un singolare impasto linguistico-dialettale”. Atmosfera che accompagna “i turbamenti erotici del protagonista adolescente” (fonte: la rete).
Di Saba esiste, tra gli scritti della vecchiaia, oltre ad ERNESTO, anche un volume che raccoglie, complessivamente, le sue prose: SCORCIATOIE E RACCONTINI (1946), e RICORDI-RACCONTI (1956), di carattere autobiografico.

Giunta al termine di questo viaggio fantastico nella Trieste sabiana, rinnovo il mio invito all’ accostamento a questo, ancor poco diffuso, poeta, augurando, intanto, a tutti i lettori, buona lettura e…buon viaggio: Trieste vi aspetta!

13 commenti:

  1. ciaoo!eccomi qui, linko il tuo blog al mio. bel tributo a Saba. a presto!

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  3. Ciao Lena , torno a leggere Saba e Trieste dopo con più calma , ora vorrei rispondere alla tua domanda : se ti riferisci ai due rettangoli in fondo pagina riguardanti google , devi andare nella tua pagina personale e cliccare su " aggiungi elementi " clicca su Newsreel...è già inserito link e spot, basta fare sala modifiche. Spero di averti detto giusto...se non ho fatto bene chiedi a Giadatea...è lei il mio angelo , seguita da Loris...che continuano a sopportarmi!!!!!. Ciao , un bacio Gy.

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  4. Ciao magnifica...ti avevo lasciato un commento su yoodooyoo...e ora risulta superfluo.... , ..un bacione...Loris...

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  5. Ciao Lena , complimenti per la tua recensione....non sono mai stata a Trieste...e la prossima volta che vai ...mi porti con te ????.un bacione Gy.

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  6. Bellissima recensione, molto completa...diamante o corona? Una corona di diamanti!!!! Ciao e tanti auguri per un felice 2008.

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  7. ciao io scrivo da Trieste! eh quelle statue (quella di sotto) son pericolose, c'è ne un'altra diversa in ponte rosso, solo che la misero da un giorno all'altro, allora era un gran giorno di bora, i miei capelli lunghi mi coprivano il viso, l'ombrello mi faceva da scudo, quando urto contro qualcuno, chiedo scusa, mi giro e cosa vedo? hanno messo una statua in mezzo al marciapiedi!
    il colmo! alla fine decisi di farmi una foto abbracciata alla statua!

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  8. a volte cammino isolata nei miei pensieri fra gli scorci di una città vecchia, nell'aria il profumo di tempi antichi, panni stesi alla finestra, mi fanno rivivere la storia che fu.
    sono immersa in un viaggio nel tempo fra i colori e gli odori, di una Trieste antica, sento l'urlo dei bambini giocare, e delle massaie nel loro operare
    e mentre cammino il mondo moderno scompare, e con esso la folla e il caos, ecco emergere una visione divina dinanzi a me, posso vedere i carri coi cavalli, sentire la vita com'era, fra le viuzze della città
    cammino dispersa fra i miei pensieri come in una allucinazione
    posso rompere le barriere del tempo
    io sono un essere eterno, come le strade che calpestro
    passato, presente, futuro, insieme vivono in me


    INVENTATA ORA SUL MOMENTO

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  9. Ciao Lena...io ho scelto uno schema a pagina intera ...per poter postare le mie opinioni di grande contenuto...come le tue.. , ..Buone Feste... mandi mandi ...Loris....

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  10. ...ottima recensione...buon anno!

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  11. Perfetto... un fondo verdolino che non dà fastidio nelle lettura... , ...mandi mandi ...Loris....

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  12. molto intiresno, grazie

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